Onorevoli Colleghi! - A distanza di quasi tredici anni dall'entrata in vigore del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, appare più che opportuna una modifica e una riorganizzazione dell'intera materia della salute e sicurezza dei lavoratori sui luoghi di lavoro.
      Riguardo alla necessità di una disciplina organica in materia di sicurezza sul lavoro, lo stesso Libro bianco sul mercato del lavoro in Italia, presentato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali nell'ottobre del 2001, ha messo in rilievo «un eccesso di regolamentazione legislativa» causato dal recepimento, negli ultimi dieci anni, di numerose direttive comunitarie in materia (capitolo II, 3.9. Igiene e sicurezza).
      Infatti, le leggi che hanno attuato le direttive europee si sono sommate a disposizioni normative vecchie di decenni, dando vita a una difficile compresenza. Inoltre, tali leggi si sono rivelate spesso ispirate ad approcci diversi tra loro e, pertanto, incapaci di ridurre, sul piano pratico, il fenomeno infortunistico e delle tecnopatie.
      Sempre nel citato Libro bianco sono state evidenziate altre carenze dell'attuale panorama normativo in materia di sicurezza, quali la mancanza di «buone prassi» e di criteri prevenzionistici specifici per le piccole e medie imprese e per l'agricoltura, e l'inesistenza di normative specifiche e peculiari, poste a tutela di tutte le emergenti forme di lavoro alternative

 

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al tradizionale impiego a tempo pieno, indeterminato e svolto in azienda (cosiddetti «lavori atipici»).
      In tale quadro complessivo di riferimento si è inserito l'articolo 3 della legge 29 luglio 2003, n. 229, in materia di riassetto normativo in materia di sicurezza sul lavoro, che ha conferito al Governo la delega ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge, quindi, entro il 9 settembre 2004, poi posticipato al 30 giugno 2005 (delega ancora non attuata) «uno o più decreti legislativi per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di sicurezza e tutela della salute dei lavoratori», nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) riordino, coordinamento, armonizzazione e semplificazione delle disposizioni vigenti per l'adeguamento alle normative comunitarie e alle convenzioni internazionali in materia. Pertanto, la delega doveva essere esercitata innanzitutto in profonda aderenza alle direttive comunitarie, affinché il nostro ordinamento non presentasse nessun arretramento rispetto ai livelli di prevenzione e di sicurezza previsti e garantiti in Europa assicurando la piena esecuzione della normativa comunitaria in materia di salute e sicurezza, sia di quella già attuata che di quella in fieri;

          b) determinazione di misure tecniche ed amministrative di prevenzione compatibili con le caratteristiche gestionali ed organizzative delle imprese, in particolare di quelle artigiane e delle piccole imprese, anche agricole, forestali e zootecniche. Al riguardo, giova rilevare che quello dell'agricoltura è un settore peculiare, in quanto l'ambiente lavorativo coincide con l'ambiente di vita e in esso spesso sono rinvenibili rischi correlati non solo all'uso di macchine e di attrezzature, ma anche ad agenti cancerogeni, chimici, fisici e biologici. Inoltre, poiché il decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, meglio si adatta alle aziende di grandi dimensioni, nelle piccole e medie imprese si registra una scarsa attuazione delle norme prevenzionistiche, soprattutto a causa degli elevati costi a cui andrebbero incontro i piccoli imprenditori e gli artigiani qualora volessero adempiere compiutamente a tutte le disposizioni normative previste in materia di sicurezza. Per questo, il fenomeno infortunistico è particolarmente diffuso nelle piccole e medie imprese (basti pensare che, negli anni 1993-1998, mentre l'aumento degli infortuni mortali dei lavoratori dipendenti nell'industria, è stato del 31,5 per cento, nelle piccole aziende tale aumento è stato addirittura pari al 71,5 per cento (Rapporto annuale dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) 2000, Roma, 21 settembre 2001, Relazione del Presidente). A ciò si aggiunga che, nell'arco temporale di poco più di un decennio, fra il 1987 ed il 1998, le grandi imprese sono aumentate solo di poche unità, mentre le piccole si sono moltiplicate, soprattutto nel settore manifatturiero ad alta tecnologia. Più precisamente, su 1.100.000 imprese operanti in Italia, le piccole e medie aziende che occupano sino a 49 addetti costituiscono il 98 per cento e danno lavoro al 53 per cento degli occupati e, tra queste, l'87 per cento occupa meno di 10 dipendenti (ancora con riferimento ai dati del Rapporto annuale INAIL, 2000, citato);

          c) riordino delle norme tecniche di sicurezza delle macchine e degli istituti concernenti l'omologazione, la certificazione e l'autocertificazione. Va, infatti, conferita maggiore chiarezza alla carente regolamentazione in materia di obblighi contravvenzionali delle macchine, di rinvio a norme tecniche e di libera circolazione delle macchine certificate CE;

          d) riformulazione dell'apparato sanzionatorio, con riferimento, in particolare, alle fattispecie contravvenzionali a carico dei preposti, alla previsione di sanzioni amministrative per gli adempimenti formali di carattere documentale; alla revisione del regime di responsabilità tenuto conto della posizione gerarchica all'interno dell'impresa e dei poteri in ordine agli adempimenti in materia di prevenzione sui luoghi di lavoro; al coordinamento

 

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delle funzioni degli organi preposti alla programmazione, alla vigilanza ed al controllo, qualificando prioritariamente i compiti di prevenzione e di informazione rispetto a quelli repressivi e sanzionatori. Si tratta, in particolare, di procedere al riordino dell'apparato sanzionatorio, con precipuo riferimento alla rimodulazione delle sanzioni amministrative accanto a quelle penali e alle fattispecie contravvenzionali a carico dei preposti, erroneamente quasi equiparate a quelle a carico dei datori di lavoro e dei dirigenti. Tale risultato può perseguirsi anche prevedendo la predisposizione di vere e proprie linee guida che si traducano in un reale aiuto alle imprese, anche sotto il profilo organizzativo-gestionale, il tutto per favorire l'attuazione del «management by objectives», al fine di assicurare l'effettivo svolgimento dei compiti assegnati e il conseguimento dell'obiettivo della massima sicurezza possibile, il mantenimento nel tempo dei livelli di sicurezza raggiunti ed una consequenziale implementazione degli stessi (si veda, al riguardo, la definizione fornita dalle norme British Standard 8800: 1996 - Guide To Occupational Health And Safety Management System). Lo scopo di tale intervento deve essere quello di impedire che, come accaduto nella vigenza dell'attuale quadro normativo di riferimento, la prevenzione sia affrontata solo in funzione della mera applicazione del singolo precetto antinfortunistico e, quindi, sia più orientata al soddisfacimento degli aspetti meramente formali che a quelli sostanziali determinando il passaggio da una gestione della sicurezza per regole ad una, appunto, per obiettivi (si tratta, del resto, di una prospettiva in linea con i più recenti interventi legislativi, sia comunitari che nazionali, i quali sono imperniati sul principio che la «salute e sicurezza sul lavoro è un compito gestionale»);

          e) promozione dell'informazione e della formazione preventiva e periodica dei lavoratori sui rischi connessi all'attività dell'impresa in generale e allo svolgimento delle proprie mansioni, con particolare riguardo ai pericoli derivanti dall'esposizione a rumore, ad agenti chimici, fisici, biologici, cancerogeni e ad altre sostanze o preparati pericolosi o nocivi e alle misure di prevenzione da adottare in relazione ai rischi;

          f) assicurazione della tutela della salute e della sicurezza sul lavoro in tutti i settori di attività, pubblici e privati, e a tutti i lavoratori, indipendentemente dal tipo di contratto stipulato con il datore di lavoro o con il committente. Si tratta di una previsione di assoluta rilevanza, che esprime l'intenzione di estendere le tutele in materia di salute e sicurezza sul lavoro a tutte le varie e differenti fasce di lavoratori, in molti casi ancora non rientranti nel campo di applicazione delle leggi di sicurezza e salute, ponendo in tale modo rimedio alla difficile applicabilità dei precetti di cui al decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, alle forme di lavoro non riconducibili al modello tradizionale dell'impiego a tempo indeterminato, svolto in regime di subordinazione. L'indirizzo appena segnalato ha già trovato una sua importante anticipazione nell'estensione, ad opera della legge 14 febbraio 2003, n. 30, e del relativo decreto legislativo di attuazione, il decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, alle nuove tipologie di lavoro introdotte dalla cosiddetta «riforma Biagi» delle tutele antinfortunistiche oggi previste per il lavoro subordinato, il cui modello prevenzionistico resta - come va sottolineato - del tutto immutato (senza alcuna deminutio);

      g) adeguamento del sistema prevenzionistico e del relativo campo di applicazione alle nuove forme di lavoro e tipologie contrattuali, anche in funzione di contrasto rispetto al fenomeno del lavoro sommerso e irregolare. Al riguardo, va sottolineato che l'attuale quadro normativo ha concorso a determinare una scarsa propensione del sistema italiano ad uscire da una condizione di lavoro sommerso, perché gli adempimenti sono tali e tanti che inducono all'elusione e al lavoro in nero. Da ciò è derivato che, a tutt'oggi, l'Italia, insieme alla Grecia, è il Paese

 

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dell'Unione europea con il più alto tasso di lavoro nero;

      h) promozione di codici di condotta e diffusione di buone prassi che orientino la condotta dei datori di lavoro, dei lavoratori e di tutti i soggetti interessati. Infatti, l'adozione di misure promozionali ed incentivanti può essere potenziata e adeguatamente valorizzata mediante l'elaborazione di codici di condotta e di buone pratiche;

          i) riordino e razionalizzazione delle competenze istituzionali al fine di evitare sovrapposizioni e duplicazioni di interventi e competenze, garantendo indirizzi generali uniformi su tutto il territorio nazionale nel rispetto delle competenze previste dall'articolo 117 della Costituzione. Infatti, fermo restando che le potestà legislative di Stato e regioni sono, per espressa disposizione del primo comma del novellato articolo 117 della Costituzione, entrambe obbligate al «rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali», la materia della «tutela e sicurezza del lavoro» è riservata alla legislazione concorrente tra Stato e regioni;

          l) realizzazione delle condizioni per una adeguata informazione e formazione di tutti i soggetti impegnati nell'attività di prevenzione per la circolazione di tutte le informazioni rilevanti per l'elaborazione e l'attuazione delle misure di sicurezza necessarie. Si tratta dell'adozione di un vero e proprio sistema di «benchmarking» cui concorrano innanzitutto regioni, parti sociali, INAIL, Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro (ISPESL) e Ministero del lavoro e della previdenza sociale, quale strumento in grado di individuare parametri per la misurazione e la classificazione degli infortuni sul lavoro certi e accettati da tutti i soggetti interessati all'attività di prevenzione degli infortuni sul lavoro, presupposto per una corretta informazione e formazione di tutti coloro che siano coinvolti nella gestione della sicurezza sul lavoro;

          m) modifica o integrazione delle discipline vigenti per i singoli settori interessati, per evitare disarmonie. Tale criterio è chiaramente in linea con l'intenzione del Governo di eliminare le criticità presenti nel nostro ordinamento;

          n) conferma del principio dell'esclusione di qualsiasi onere finanziario per il lavoratore in relazione all'adozione delle misure relative alla sicurezza, all'igiene e alla tutela della salute dei lavoratori, già presente nel nostro ordinamento giuridico e sancito dall'articolo 3 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, il cui comma 2 statuisce che: «Le misure relative alla sicurezza, all'igiene ed alla salute durante il lavoro non devono in nessun caso comportare oneri finanziari per i lavoratori».

      In assoluta coerenza con i princìpi e criteri direttivi di delega appena riportati, la riconduzione della normativa vigente in materia in una disciplina organica ha come finalità primaria l'innalzamento della qualità e della sicurezza del lavoro, anche attraverso la definizione di una strategia prevenzionistica incentrata su obiettivi sostanziali e non soltanto su regole formali, valorizzando adeguatamente il dialogo sociale sul territorio e la bilateralità, quale fattore di controllo sociale, e inducendo le imprese, anche con norme premiali e incentivanti, a perseguire condotte socialmente responsabili. Attraverso la bilateralità, incentivata anche mediante l'indirizzo degli organi ispettivi e di controllo verso aree non coperte dal controllo sociale, sarà possibile mantenere elevati standard di tutela alleggerendo tuttavia i vincoli meramente formali e burocratici.

Il rinnovato assetto istituzionale previsto dal titolo V della parte seconda della Costituzione.

      Il nuovo articolo 117 della Costituzione, nel testo sostituito dall'articolo 3 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3,

 

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contiene un elenco delle materie riservate alla competenza legislativa esclusiva dello Stato e un altro elenco di quelle riservate alla potestà legislativa concorrente tra Stato e regioni. Inoltre, con statuizione di fondamentale rilevanza, il quarto comma dell'articolo in parola dispone che spetta alle regioni la competenza legislativa in tutte le materie che non siano espressamente riservate alla competenza legislativa esclusiva dello Stato o a quella concorrente tra Stato e regioni, introducendo - con un deciso mutamento di prospettiva rispetto al passato - nel nostro sistema un tratto di marcato federalismo.
      La materia della «tutela e sicurezza del lavoro» è stata riservata alla legislazione concorrente tra Stato e regioni e, pertanto, in tale quadro generale deve essere collocata l'attività legislativa di riorganizzazione e di riordino della normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro, la quale deve procedere all'individuazione delle fonti primarie idonee a costituire la legislazione di principio in materia.
      In tale direzione opera la presente proposta di legge, che mira a dettare una disciplina fondamentale relativa ai diritti e agli obblighi che si costituiscono nei rapporti di lavoro, anche relativi agli ambienti e alle condizioni di sicurezza e di salute. Inoltre la presente proposta di legge raccoglie, sistematizza e ordina i princìpi fondamentali di derivazione comunitaria che, a partire dagli anni novanta, costituiscono l'orizzonte di riferimento di gran parte della disciplina in materia.
      La presente proposta di legge riguarda, per l'appunto, princìpi e livelli essenziali e non eventuali modulazioni di tutela che dunque appaiono rinviabili anche alla legislazione concorrente delle regioni, sempre che essa si risolva in un sistema di «opting out upwards», cioè di deroghe migliorative o comunque tali da non intaccare complessivamente alcune garanzie di base che assumono un ruolo fondamentale in una materia come quella della salute e sicurezza del lavoro che riguarda beni di natura primaria costituzionalmente tutelati.

La tecnica legislativa seguita per la redazione della presente proposta di legge.

      Nella stesura della presente proposta di legge recante disciplina organica in materia di salute e sicurezza dei lavoratori sui luoghi di lavoro si è utilizzato un metodo di lavoro idoneo a permettere la redazione di un documento non solo di portata compilativa ma anche innovativo e semplificato rispetto al sistema vigente, alla condizione essenziale che rispetti il rinnovato assetto costituzionale delle competenze dello Stato e delle regioni.
      A tale fine si è ritenuto di poter identificare un nucleo intangibile di norme individuato nelle disposizioni delle direttive comunitarie in materia di salute e sicurezza e nei rispettivi allegati.
      Operando in tale senso è possibile riportare il sistema normativo italiano vigente in materia ad una più stretta adesione allo spirito e alla lettera del corpus normativo comunitario, costituito dalla direttiva «madre», 89/391/CEE del Consiglio, del 12 giugno 1989, e dalle numerose direttive particolari da essa discese, ivi compresi tutti i rispettivi allegati.
      Nell'articolato vengono ricompresi esclusivamente gli obblighi fondamentali di natura organizzativa e comportamentale, mentre vengono riservati agli allegati le norme di buona tecnica, le buone prassi e i princìpi generali di sicurezza a cui devono corrispondere gli standard tecnico-costruttivi di macchine, impianti, apparecchi elettrici e di altri settori specifici di interesse per la sicurezza.
      L'obiettivo perseguito è stato quello di armonizzare tutte le leggi vigenti in una logica unitaria, abrogando le normative speciali integrate nella presente proposta di legge e facendo esplicito e specifico riferimento alle normative di settore che, al contrario, rimangono in vigore. Ciò permette di rendere maggiormente esigibili e accessibili le norme prevenzionistiche.

 

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L'ampliamento del campo di applicazione della normativa antinfortunistica.

      Tra le più importanti novità va subito segnalato il sensibile ampliamento del campo di applicazione delle norme in tema di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro rispetto a quello delimitato dal menzionato decreto legislativo n. 626 del 1994, sia perché la presente proposta di legge si applica alle tipologie lavorative regolate dal citato n. 276 del 2003, sia in quanto si è deciso di annoverare tra i destinatari della normativa anche i lavoratori autonomi e i componenti dell'impresa familiare.
      Tuttavia, in ragione dell'oggettiva situazione di diversità tra lavoratori subordinati o ad essi equiparati e lavoratori autonomi, si è scelto di modulare l'applicazione della normativa di salute e sicurezza in modo che a questi ultimi sia imposto unicamente di utilizzare dispositivi di protezione individuale (DPI) rispettosi delle regole stabilite della presente proposta di legge e di sottoporsi a sorveglianza sanitaria. Eguale scelta è stata operata con riferimento ai componenti dell'impresa familiare (articolo 230-bis del codice civile), non solo in ragione della diversità rispetto ai subordinati ma anche tenendo conto dell'esistenza di pronunce della Corte costituzionale che hanno argomentato nel senso della necessità di non applicare all'impresa familiare le disposizioni in materia di salute e sicurezza in quanto incompatibili con il vincolo affettivo che lega tra loro i componenti di tale impresa, che non potrebbe conciliarsi con l'imposizione di obblighi stringenti da parte di un familiare nei confronti di altri.
      L'opzione adottata tiene conto sia della tendenza espansiva della giurisprudenza formatasi dopo il 1994 in materia di salute e sicurezza sul lavoro, orientata a garantire tutela a chiunque si trovi in un ambiente di lavoro, anche ove non sia un lavoratore subordinato o ad esso equiparato, che delle più recenti sollecitazioni comunitarie, pur non ancora trasposte in direttive.
      Pertanto, non vengono considerati come destinatari di norme di sicurezza unicamente i lavoratori domestici di cui alla legge 2 aprile 1958, n. 339, come previsto dalla citata direttiva 89/391/CEE, i lavoratori che svolgono piccoli lavori domestici a carattere straordinario, compresa l'assistenza domiciliare ai bambini, alle persone anziane ammalate o con handicap e l'insegnamento privato supplementare di cui all'articolo 70, lettere a) e b), del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.
      Sempre con riferimento al campo di applicazione, si è reputato di mantenere i regimi particolari oggi operanti, ai sensi dell'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, nei confronti di alcuni settori (Forze armate e di Polizia, strutture giudiziarie eccetera) in ragione delle loro peculiarità, che tale diversificazione impongono.

Promozione della salute e sicurezza attraverso gli organismi bilaterali.

      Nel testo proposto è riservata una funzione importante agli enti bilaterali, sul presupposto che le aziende, specie quelle piccole e medie, possano beneficiare di una semplificazione degli adempimenti di sicurezza ove collegate alla bilateralità e, pertanto, per tale strada presumibilmente già sottoposte a un controllo di tipo sociale.
      Così, gli organismi in parola mantengono e vedono notevolmente sottolineato il ruolo - già oggi ad essi riservato - di orientamento e promozione di iniziative formative nei confronti dei lavoratori e dei loro rappresentanti, così come la competenza in materia di raffreddamento delle controversie tra aziende e sindacati.       Ad essi è riservata, inoltre, una serie di importanti prerogative, sul presupposto che la logica della bilateralità esprima efficacemente un sistema di relazioni industriali di tipo collaborativo e cooperativo, in grado di assicurare al meglio la promozione della cultura della sicurezza in azienda.

 

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Il ruolo delle norme di buona tecnica e delle buone prassi.

      L'assoluta necessità di procedere alla completa rivisitazione delle previsioni in materia di salute e sicurezza contenute nei decreti del Presidente della Repubblica degli anni cinquanta ancora oggi in vigore (di seguito menzionati) e di tenere conto delle innovazioni tecniche nel frattempo intervenute ha imposto la ridefinizione in un ambito di buona tecnica - alla stregua delle norme emanate dal Comitato europeo di normalizzazione (CENI), dal Comitato europeo per la standardizzazione elettrotecnica (CENELEC), dall'Organizzazione internazionale per la standardizzazione (ISO), dalla Commissione internazionale elettrotecnica (IEC), dall'Ente nazionale di unificazione (UNI), e dal Comitato elettronico italiano (CEI) - di alcune delle disposizioni legislative relative a elementi di natura tecnica o costruttiva contenute nei decreti del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, 7 gennaio 1956, n. 164, 19 marzo 1956, n. 302, 19 marzo 1956, n. 303, 20 marzo 1956, n. 320, 20 marzo 1956, n. 321, 20 marzo 1956, n. 322, e 20 marzo 1956, n. 323.
      Analogamente si è ritenuto di dover individuare procedure e metodi organizzativi finalizzati ad ottenere una riduzione dei rischi come «buone prassi».
      In tale modo si è introdotto nell'ordinamento giuridico un meccanismo di aggiornamento automatico degli standard tecnici di sicurezza al progresso scientifico e tecnologico, con un rinvio, da un lato, ai princìpi generali di sicurezza sanciti dall'Unione europea e, dall'altro, alle norme di buona tecnica e alle buone prassi, evitando di delegificare la materia per il tramite del rinvio ad atti regolamentari (rinvio che si manifesterebbe in netto contrasto con il titolo V della parte seconda della Costituzione).
      Quindi, tutte le prescrizioni di carattere tecnico relative ad attrezzature di lavoro, impianti, macchine, apparecchi elettrici e luoghi di lavoro, verranno ricondotte - in ossequio a quanto previsto dalle direttive comunitarie applicabili in materia - in un ambito di buona tecnica o di rispetto dei princìpi generali di sicurezza sanciti dall'Unione europea. Ciò comporterà l'innalzamento degli standard di sicurezza attualmente vigenti, ancorati a una normativa in larga parte obsoleta. Infatti, si è proceduto alla completa ricognizione delle norme contenute nei citati decreti del Presidente della Repubblica degli anni cinquanta, all'esito della quale si sono individuate le previsioni direttamente incidenti sulle condizioni di sicurezza, che sono state incorporate nel testo unico e per le quali il meccanismo del rinvio alle norme di buona tecnica e alle buone prassi non opera, e quelle che ormai risultano ampiamente superate e il cui mancato rispetto non comporta conseguenze immediate e dirette sulle condizioni di sicurezza sui luoghi di lavoro, che vengono considerate norme di buona tecnica o buone prassi - ai sensi e per gli effetti della presente proposta di legge - non più obbligatorie ma la cui osservanza comporta l'adempimento degli obblighi di sicurezza.

Riordino e razionalizzazione delle competenze istituzionali.

      La presente proposta di legge prevede la modifica della composizione (assai meno numerosa che in passato) e delle competenze - finalizzate alla rinnovata filosofia della gestione della sicurezza per obiettivi e non per adempimenti, propria della presente proposta di legge - della Commissione permanente per la prevenzione degli infortuni e l'igiene del lavoro. Inoltre, si contemplano misure positive di finanziamento e sostegno per le piccole e medie imprese (a totale carico dell'INAIL) e l'istituzione di un coordinamento, da parte del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, delle attività prevenzionistiche attuate dall'INAIL, dall'ISPESL e dall'Istituto italiano di medicina sociale (IIMS).
      Sempre in linea con la nuova filosofia ispiratrice dell'intervento di riforma, è stata, altresì, prevista un'azione di «benchmarking»

 

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con metodi di misurazione condivisi, attraverso il monitoraggio e la verifica - effettuata tramite la «regia» dell'INAIL - sull'effettiva applicazione della normativa in materia di salute e sicurezza, ad opera delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, dei Ministeri del lavoro e della previdenza sociale e della salute e delle parti sociali.
      Nessuna modifica è stata, invece, prevista con riferimento alle attività di vigilanza, che vengono riservate agli stessi organi oggi competenti, nella stessa misura e con gli stessi meccanismi oggi utilizzati (salvo quanto si dirà in seguito relativamente al potere di disposizione).

Apparato sanzionatorio e potere di disposizione.

      La rivisitazione dell'apparato sanzionatorio vigente in materia di salute e sicurezza, operazione di assoluta importanza attesa la farraginosità del sistema oggi operante, è stata effettuata attraverso una rimodulazione degli obblighi di datori di lavoro, dirigenti e preposti, realizzata tramite la scelta di mantenere lo stesso regime sanzionatorio oggi vigente continuando, in particolare, a prevedere la sanzione penale (con correlata possibilità di oblazione ai sensi del decreto legislativo n. 758 del 1994) per tutti gli obblighi diretti a incidere sulle condizioni di sicurezza degli ambienti di lavoro. Al riguardo, basti sottolineare che il titolo XIII della presente proposta di legge, relativo alle sanzioni, è stato mutuato - salvo piccole modifiche - direttamente dal decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e come esso presupponga un meccanismo sanzionatorio pressoché conforme all'attuale, incentrato sull'azione penale e sulla correlata sanzione quale conseguenza della verifica dell'inosservanza delle normative in materia di sicurezza direttamente incidenti sulla sicurezza nei luoghi di lavoro.
      Il sistema sanzionatorio attuale viene, in tal modo, potenziato - sempre in un'ottica di prevenzione dell'inadempimento e non di mera repressione del medesimo - dall'implementazione del meccanismo della disposizione, destinato a operare unicamente con riferimento a normative non direttamente incidenti sulla sicurezza nei luoghi di lavoro e, ciò nonostante, attualmente assistite da sanzione penale in caso di loro inadempimento.
      In tali ipotesi, corrispondente all'area delle «norme di buona tecnica» e delle «buone prassi», viene, infatti, consentito all'organo di vigilanza di impartire una disposizione in luogo della sanzione penale oggi prevista, sulla base di una normativa ormai obsoleta, consentendo al soggetto obbligato di adempiere entro un dato termine ai propri obblighi liberandosi di ogni responsabilità e, al contempo, introducendo una sanzione penale assai gravosa in caso di perdurante inosservanza delle istruzioni impartite.
      In altre parole, tutti gli obblighi oggi sanzionati «direttamente» (vale a dire, senza utilizzare lo strumento della disposizione) dal decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, restano tali anche nella presente proposta di legge e tutte le violazioni più gravi (ad esempio, in materia di valutazione del rischio o di utilizzo di agenti chimici) restano sanzionate con l'utilizzo dell'attuale sistema (verifica e comunicazione all'autorità giudiziaria e successiva sanzione) e, quindi, attraverso la possibilità dell'oblazione ai sensi del decreto legislativo n. 758 del 1994.
      Al riguardo, è opportuno specificare che nella presente proposta di legge si è avuta cura di individuare specificamente gli obblighi di maggiore rilevanza in materia prevenzionistica contenuti nei citati decreti del Presidente della Repubblica degli anni cinquanta e ad inserirli nel testo, sanzionandoli penalmente secondo il sistema oggi vigente. All'esito di tali ricognizione e «scorporo», i decreti in parola sono risultati composti da norme il cui contenuto risulta largamente superato dall'evoluzione della tecnica avvenuta nell'arco di ben cinquanta anni e che, tuttavia, sono ancora assistite da una sanzione penale che non ha ragione d'essere ove si consideri che si tratta di adempimenti non

 

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direttamente incidenti sui livelli di sicurezza in azienda.
      Appunto in base a tale considerazione, è stato possibile abrogare la parte «residua» (vale a dire, non compresa nella presente proposta di legge, con conseguente assoggettamento al regime penale in vigore) dei seguenti provvedimenti: decreti del Presidente della Repubblica nn. 547 del 1955, 303 del 1956, 164 del 1956, 320 del 1956, 321 del 1956, il 322 del 1956, 323 del 1956, legge n. 186 del 1968, legge n. 320 del 1990, e decreto legislativo n. 277 del 1991. Pertanto, la gran parte delle disposizioni tecniche o procedurali contenute nelle citate normative sono state qualificate nella presente proposta di legge quali «norme di buona tecnica» o «buone prassi», al pari di quelle emanate da organismi europei, internazionali e nazionali specificamente individuati nella medesima proposta di legge.
      L'istituto della disposizione, pertanto, lungi dall'essere strumento di una diffusa depenalizzazione (che, ove attuata, giustificherebbe la prevedibile accusa di voler abbassare il livello di tutele nei confronti dei lavoratori a favore dei datori di lavoro inadempienti), opera solo con riferimento alle previsioni in ultimo citate, rispetto alle quali appare logico riferirsi alle indicazioni di organismi che, nei singoli settori, sono in grado di indicare quali siano le soluzioni costruttive e organizzative più idonee al momento per assicurare il migliore livello di tutela antinfortunistica.
      Infine, ancora con riferimento al sistema sanzionatorio, va segnalato come nella presente proposta di legge, in attuazione del criterio di delega di cui all'articolo 3, comma 1, lettera d) della legge 29 luglio 2003, n. 229, siano stati individuati analiticamente e separatamente gli obblighi dei preposti, limitandoli a compiti di attuazione e di vigilanza delle disposizioni della legge e di quelle impartite dai datori di lavoro e dai dirigenti. Tale previsione permetterà di ridurre drasticamente, sempre con i meccanismi sin qui descritti, le fattispecie contravvenzionali poste a carico dei preposti.

Descrizione della proposta di legge.

      La presente proposta di legge è composta da tredici titoli e da sedici allegati.
      I titoli sono i seguenti:

          titolo I: disposizioni generali;

          titolo II: luoghi di lavoro;

          titolo III: attrezzature di lavoro;

          titolo IV: impianti e apparecchiature elettrici;

          titolo V: uso dei dispositivi di protezione individuale;

          titolo VI: segnaletica di sicurezza;

          titolo VII: movimentazione manuale dei carichi;

          titolo VIII: uso di attrezzature munite di videoterminali;

          titolo IX: protezione da agenti chimici pericolosi;

          titolo X: agenti biologici;

          titolo XI: agenti fisici;

          titolo XII: cantieri temporanei e mobili;

          titolo XIII: sanzioni, abrogazioni ed entrata in vigore.

      Gli allegati sono i seguenti:

          allegato I: registro degli infortuni;

          allegato II: casi in cui è consentito lo svolgimento diretto da parte del datore di lavoro dei compiti di prevenzione e protezione dai rischi;

          allegato III: prescrizioni minime di sicurezza e di salute per i luoghi di lavoro;

          allegato IV: prescrizioni minime di sicurezza e di salute per i cantieri;

          allegato V: prescrizioni minime di sicurezza per le attrezzature di lavoro;

          allegato VI: disposizioni concernenti l'uso delle attrezzature di lavoro;

          allegato VII: modalità di controllo e verifica per impianti e attrezzature di

 

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lavoro non regolamentati da disposizioni particolari;

          allegato VIII: disposizioni relative all'uso delle attrezzature di lavoro messe a disposizione per l'esecuzione di lavori temporanei in quota;

          allegato IX: schema per l'inventario dei rischi per l'impiego dei dispositivi di protezione individuale;

          allegato X: prescrizioni generali per la segnaletica di sicurezza;

          allegato XI: elementi di riferimento;

          allegato XII: requisiti minimi;

          allegato XIII: agenti chimici;

          allegato XIV: agenti biologici;

          allegato XV: vibrazioni;

          allegato XVI: elenco dei lavori.

      Il titolo I (Disposizioni generali) esprime la logica dell'intervento legislativo contenendo le disposizioni generali da applicare necessariamente a tutte le imprese destinatarie delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.
      Innanzitutto, sulla falsariga di quanto è previsto nella citata direttiva-quadro 89/391/CEE e a differenza del decreto legislativo n. 626 del 1994, si è ritenuto opportuno introdurre un articolo di portata generale ed esplicativa diretto a precisare la finalità del provvedimento.
      Pertanto, esso si apre con l'indicazione dello scopo della proposta di legge, individuato nel riordino della normativa vigente in materia di salute e sicurezza in un unico testo, anche attraverso la semplificazione delle disposizioni in parola. Scopo, come rimarcato sempre al comma 1 dell'articolo 1, da realizzare assicurando l'applicazione sull'intero territorio nazionale della disciplina dei diritti e degli obblighi di datori di lavoro e lavoratori nonché dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, nel rispetto dell'assetto delle competenze tra Stato e regioni.
      Il comma 2 dell'articolo 1 può considerarsi la norma manifesto della filosofia della presente proposta di legge, che enfatizza il ruolo della bilateralità, quale fattore di controllo sociale, e la strategia della sicurezza «by objective» e non solo «by regulation». In esse si puntualizza che la finalità primaria dell'intervento legislativo consiste nell'«innalzamento della qualità e della sicurezza del lavoro per tutti i lavoratori, anche valorizzando il dialogo sociale e la bilateralità, e garantendo la semplificazione di adempimenti e di controlli nonché lo sviluppo della responsabilità sociale delle imprese».
      Rispetto al decreto legislativo n. 626 del 1994, nella presente proposta di legge si è preferito distinguere nettamente il campo di applicazione «oggettivo» da quello «soggettivo», invece che racchiudere tutta la disciplina in un unico articolo genericamente dedicato al campo di applicazione.
      Così, nell'articolo dedicato al campo di applicazione «oggettivo» (l'articolo 2) vengono indicate le attività soggette alla normativa della presente proposta di legge, mentre nel campo di applicazione «soggettivo» (individuato all'articolo 3) vengono individuati i lavoratori (subordinati ed equiparati) beneficiari della normativa di tutela e di prevenzione.
      L'articolo 2 statuisce, innanzitutto, il principio indefettibile per il quale la proposta di legge si applica a «tutti i settori di attività pubblici o privati», confermando la previsione di cui al comma 1 dell'articolo 1 del decreto legislativo n. 626 del 1994. Il comma 2 del medesimo articolo 2, sempre conformemente alla corrispondente previsione del decreto legislativo n. 626 del 1994, puntualizza che in alcuni settori le norme della proposta di legge si applicano tenendo conto delle particolari esigenze connesse al servizio che in detti settori si esplica, quali individuate con decreti ministeriali. Si tratta di una scelta dettata dalla necessità di diversificare l'applicazione delle normative di sicurezza con riferimento ad alcuni settori (si pensi, per tutti, alle Forze armate e di polizia e alla protezione civile)

 

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nei quali applicare sic et simpliciter le regole in tema di salute e sicurezza produrrebbe problemi di compatibilità con le attività in parola, se non, addirittura, risultati controproducenti.
      L'articolo 3 definisce, come anticipato, il campo di applicazione soggettivo della proposta di legge, riproponendo, al comma 1, il comma 4-bis dell'articolo 1 del decreto legislativo n. 626 del 1994, attraverso la previsione che sono tenuti all'osservanza della medesima proposta di legge «il datore di lavoro che esercita le attività di cui all'articolo 2 e, nell'ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, i dirigenti e i preposti che dirigono o sovraintendono le stesse attività».
      Il comma 2 dell'articolo 3 esprime il principio generale che la proposta di legge si applica a tutti i lavoratori, quali definiti dall'articolo dedicato alle definizioni (articolo 5), «indipendentemente dal tipo di contratto stipulato con il datore di lavoro o con il committente» e fatte salve le specificazioni contenute ai commi da 3 a 6 dell'articolo in commento. La disposizione è pienamente aderente al testo della delega che prevede (lettera f) del comma 1 dell'articolo 3 della citata legge 29 luglio 2003, n. 229) l'assicurazione della tutela della salute e della sicurezza sul lavoro in tutti i settori di attività, pubblici e privati, e a tutti i lavoratori, indipendentemente dal tipo di contratto stipulato con il datore di lavoro o con il committente.
      Il successivo comma 3 specifica che nei confronti dei lavoratori a domicilio di cui alla legge 18 dicembre 1973, n. 877, e dei lavoratori che rientrano nel campo di applicazione del contratto collettivo dei proprietari di fabbricati trovano applicazione gli obblighi di informazione e formazione di cui al testo unico. Al riguardo, si rammenta che ai sensi dell'articolo 2 della legge n. 877 del 1973, non è ammessa l'esecuzione a domicilio di attività che comportino l'impiego di sostanze o materiali nocivi o pericolosi per la salute o l'incolumità del lavoratore o dei suoi familiari. Nei confronti di detti lavoratori si è puntualizzato come, ove lo richiedano le mansioni effettuate, essi debbano essere muniti di dispositivi di protezione individuale e come le attrezzature di lavoro fornite dal datore di lavoro, anche tramite terzi, debbano essere conformi alle disposizioni della proposta di legge.
      Stessa previsione è contemplata, al comma 4 dell'articolo 3, con riferimento ai rapporti svolti a distanza mediante collegamento informatico o telematico, ai quali si applicherà comunque - indipendentemente dal titolo giuridico per il quale la prestazione è resa e dall'ambito (aziendale o non) nel quale essa è svolta - l'insieme di previsioni di cui al titolo VIII (uso di attrezzature munite di videoterminali).
      Il successivo comma 5 prevede che nei confronti dei collaboratori coordinati e continuativi di cui all'articolo 409, numero 3), del codice di procedura civile, anche nella modalità a progetto di cui agli articoli 61 e seguenti del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, le disposizioni della proposta di legge si applichino quando la prestazione lavorativa sia svolta nei locali del committente, sempre che compatibili con le caratteristiche del singolo rapporto di lavoro. Al riguardo, va rimarcato come la puntualizzazione appena riportata sia necessaria per evidenziare la peculiarità del lavoratore coordinato e continuativo, al quale si applicheranno le tutele previste dalla proposta di legge unicamente quando, come accade per ogni altro lavoratore, sia chiamato a lavorare in un ambiente del quale il datore di lavoro ha la disponibilità.
      Per quanto concerne le altre tipologie contrattuali introdotte o disciplinate dal decreto legislativo n. 276 del 2003, si rammenta che esse prevedono una disciplina ad hoc in materia di tutela della salute e sicurezza del lavoro.
      Il comma 6 rinvia all'articolo 9 (sul quale si veda più avanti) per l'individuazione della normativa di sicurezza applicabile ai componenti dell'impresa familiare di cui all'articolo 230-bis del codice civile e ai lavoratori autonomi.
      Il comma 7 dell'articolo 3 della presente proposta di legge specifica che la normativa di sicurezza non riguarda le prestazioni che esulano dal mercato del
 

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lavoro (articolo 74 del decreto legislativo n. 276 del 2003) e i lavoratori che svolgono piccoli lavori domestici a carattere straordinario, compresa l'assistenza domiciliare alla persona, e di insegnamento privato supplementare, ai sensi dell'articolo 70, comma 1, lettere a) e b), del medesimo decreto legislativo.
      Infine, il comma 8 puntualizza come le disposizioni di cui ai commi 3, 4, 5 e 6 del medesimo articolo 3 non pregiudichino l'applicazione di norme di legge e di contratto collettivo o individuale più favorevoli per il lavoratore.
      L'articolo 4 della proposta di legge è dedicato, in assenza di una corrispondente autonoma previsione nel decreto legislativo n. 626 del 1994, alla disciplina del computo dei lavoratori, rilevante a fini di sicurezza con riferimento alla soglia al di sotto della quale è consentito al datore di lavoro lo svolgimento diretto dei compiti di prevenzione e protezione dai rischi, a quella che impone la presenza in azienda del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, e a quella che consente la certificazione ad opera degli organismi bilaterali.
      Al riguardo, la presente proposta di legge - anche in attuazione del criterio di delega di cui alla lettera b) del comma 1 dell'articolo 3 della legge 29 luglio 2003, n. 229, che impone di considerare la peculiarità delle piccole e medie imprese - ha ritenuto di diversificare, rispetto all'impianto del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, parte della previgente disciplina in base ai requisiti dimensionali dell'impresa sul presupposto, non tenuto nel debito conto dalla normativa in vigore, che l'organizzazione del lavoro e le necessità delle aziende meno grandi non possono avere eguali caratteristiche rispetto alle aziende con più ampio organico. In pratica, per la realizzazione dell'obiettivo di diversificazione si è ritenuto opportuno non computare - o computarli in parte qua tenendo conto della loro effettiva presenza sui luoghi di lavoro - i lavoratori non stabilmente inseriti nella organizzazione aziendale.
      In applicazione di tale principio restano esclusi dal computo dei lavoratori, ai fini della determinazione del numero dal quale la proposta di legge fa discendere gli obblighi citati: i lavoratori in prova, i lavoratori sostituti, i lavoratori a domicilio, i volontari, i lavoratori socialmente utili, gli obiettori di coscienza, i telelavoratori, i lavoratori a progetto e i lavori con contratti di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co), gli occasionali e quelli con contratto di lavoro accessorio. I lavoratori con contratto a tempo ripartito e intermittente, i lavoratori a tempo parziale e quelli utilizzati nell'ambito di un contratto di somministrazione di lavoro vengono computati sulla base del numero di ore di lavoro effettivamente prestato nell'arco di un semestre.
      L'articolo 5 la proposta di legge individua una serie di definizioni, a partire da quella di «lavoratore» individuato in colui che: «presta il proprio lavoro fuori dal proprio domicilio alle dipendenze o sotto la direzione altrui, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un'arte o una professione, inclusi tutti i prestatori di lavoro con rapporti di lavoro subordinato speciale o di durata determinata, i prestatori di lavoro nell'ambito di un contratto di somministrazione di lavoro di cui agli articoli 20 e seguenti del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e i prestatori di lavoro con altri rapporti di collaborazione che si concretizza in una prestazione d'opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato, qualora siano stabilmente inseriti nell'ambiente di lavoro organizzato dal committente».
      Va sottolineato che si tratta di una formulazione parzialmente innovativa rispetto a quelle precedenti: posto che il campo di applicazione va oltre i tradizionali ambiti del lavoro subordinato (lavoro alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore in base alla formulazione dell'articolo 2094 del codice civile) si è ritenuto preferibile utilizzare la disgiuntiva «o» in luogo della congiuntiva «e». Rientrano, infatti, nel campo di applicazione
 

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della proposta di legge non solo i lavoratori subordinati in senso stretto, ma anche coloro che operano semplicemente sotto le direttive altrui, ancorché formalmente non dipendenti, allorché vengano a trovarsi più o meno stabilmente inseriti in un contesto organizzativo gestito da altri.
      Si tratta di assecondare, in altri termini ed anticipando in parte qua la logica dello «Statuto dei lavori» (legge n. 300 del 1970), una tendenza storica verso l'estensione delle tutele fondamentali del diritto del lavoro al di fuori di rigide definizioni concettuali.
      Il riferimento letterale, contenuto all'articolo 5, comma 1, lettera a), alla prestazione d'opera coordinata e continuativa riprende sostanzialmente il disposto dell'articolo 409, numero 3), del codice di procedura civile. Si è tuttavia preferito non farne espressa menzione nel testo in quanto l'articolo 409, numero 3), citato, non definisce una fattispecie sostanziale (trattasi di norma processuale), identificando semplicemente una serie di rapporti (o anche di contratti) che sociologicamente possono essere definiti atipici e che giuridicamente verrebbero tuttavia ricondotti al lavoro autonomo pur in presenza delle condizioni di debolezza contrattuale tipiche del lavoro dipendente. Lo stesso vale anche quando la collaborazione viene resa nella modalità a progetto di cui al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, perché il lavoro a progetto non identifica un nuovo tipo contrattuale.
      Ad eguale regime giuridico rispetto a quello riservato al «lavoratore» - ai sensi e per gli effetti della proposta di legge - sono sottoposti, come già previsto all'articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 626 del 1994, i soci lavoratori di cooperative o di società, anche di fatto, che prestino la loro attività per conto delle società e degli enti stessi, i volontari come definiti dalla legge 1o agosto 1991, n. 266, e gli utenti dei servizi di orientamento o di formazione scolastica, universitaria e professionale avviati presso datori di lavoro per agevolare o per perfezionare le loro scelte professionali. Sono altresì equiparati gli allievi degli istituti di istruzione e universitari e partecipanti a corsi di formazione professionale nei quali si faccia uso di laboratori, macchine, apparecchi e attrezzature di lavoro in genere, agenti chimici, fisici e biologici.
      Le lettere b) e c) del comma 1 dell'articolo 5 definiscono il «datore di lavoro» e il «servizio di prevenzione e protezione» conformemente alle lettere b) e c) del citato comma 1 dell'articolo 2 del decreto legislativo n. 626 del 1994, il cui testo non è stato modificato.
      Per quanto concerne il «medico competente», tra i titoli dei quali tale figura deve essere in possesso, in aggiunta a quelli già contemplati alla lettera d) del comma 1 dell'articolo 2 del decreto legislativo n. 626 del 1994, all'articolo 5, comma 1, lettera d), si è provveduto a inserire le modifiche inerenti le specializzazioni in igiene e medicina preventiva, in medicina legale e in medicina dello sport e a specificare che il numero totale degli specialisti in igiene e medicina preventiva ed in medicina legale ammessi ogni anno a livello nazionale alla frequenza di master in medicina occupazionale, non può superare il cinquanta per cento del numero totale delle borse di studio assegnate dal Ministero dell'università e della ricerca alle scuole di specializzazione in medicina del lavoro per l'anno accademico precedente.
      La successiva lettera e) opera un rinvio alla disciplina di cui al decreto legislativo n. 195 del 2003, richiamata all'articolo 15 della proposta di legge, per la individuazione delle capacità del «responsabile del servizio di prevenzione e protezione», mentre le lettere f) e g) riprendono la formulazione letterale già contenuta al decreto legislativo n. 626 del 1994 con riferimento al «rappresentante dei lavoratori per la sicurezza» e alla «prevenzione».
      È stato ritenuto opportuno, alle successive lettere h), i), e l), inserire le definizioni di «pericolo», «rischio» e «sorveglianza sanitaria», non contemplate nel decreto legislativo n. 626 del 1994. Ciò al fine di non dover riproporre di volta in volta nelle singole parti del testo (nelle
 

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quali si troverà, pertanto, il semplice rinvio alla corrispondente lettera del comma 1 dell'articolo 5) la relativa definizione.
      Allo stesso modo si è reputato necessario inserire la definizione di «norma di buona tecnica» (lettera n) del comma 1 dell'articolo 5) e di «buone prassi» (lettera o) del comma 1 dell'articolo 5). A queste definizioni si rinvierà, pertanto, nelle previsioni (trattasi di un numero assai rilevante) che di volta in volta, nell'ambito della proposta di legge, tali concetti andranno a richiamare.
      In particolare, le «norme di buona tecnica» costituiscono un «numero chiuso», identificato unicamente nelle specifiche promananti dagli organismi indicati alla lettera n) dell'articolo 5 (CEN, CENELEC, ISO, IEC, UNI e CEI) e nelle disposizioni legislative relative ad elementi di natura tecnica o costruttiva contenute nei decreti del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, 7 gennaio 1956, n. 164, 19 marzo 1956, n. 302, 19 marzo 1956, n. 303, 20 marzo 1956, n. 320, 20 marzo 1956, n. 321, 20 marzo 1956, n. 322, e 20 marzo 1956, n. 323. Si tratta, come anticipato nella parte generale della presente relazione, delle disposizioni non inserite nel testo della proposta di legge - con applicazione dell'attuale regime di obbligatorietà e sanzionatorio - in quanto non direttamente incidenti sulle condizioni di sicurezza e, a seguito dello sviluppo tecnologico e delle procedure di sicurezza, ormai obsolete.
      Eguale ruolo di «parametro di riferimento» per valutare l'adempimento degli obblighi di sicurezza è riservato alle «buone prassi», definite alla lettera o) del comma 1 dell'articolo 5 come «soluzioni organizzative o procedurali coerenti con la normativa vigente e generalizzabili, che permettono di ottenere una riduzione dei rischi, miglioramenti delle condizioni di lavoro e in generale la promozione della salute sui luoghi di lavoro raccolte e validate dalle regioni, dall'ISPESL, dall'INAIL e dagli enti bilaterali».
      La definizione appena riportata evidenzia, tra l'altro, il ruolo di assoluta rilevanza che la proposta di legge riserva agli organismi bilaterali, definiti dalla lettera p) del comma 1 dell'articolo 5 come: «organismi costituiti a iniziativa di una o più associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative, quali sedi privilegiate per la promozione di un'occupazione regolare e di qualità; la programmazione di attività formative e l'elaborazione di buone pratiche a fini prevenzionistici; lo sviluppo di azioni inerenti la salute e la sicurezza sul lavoro; ogni altra attività o funzione assegnata loro dalla legge o dai contratti collettivi di riferimento». Come già esposto nella parte generale della presente relazione, gli organismi bilaterali vedono di molto ampliate nella presente proposta di legge le prerogative loro riservate dall'articolo 20 del decreto legislativo n. 626 del 1994, sul presupposto che essi possano costituire lo strumento privilegiato per la diffusione, specie nelle piccole e medie imprese, di una sicurezza fondata più sulla programmazione degli interventi sugli ambienti di lavoro che sul semplice adempimento formale degli obblighi di sicurezza, da realizzare anche attraverso una semplificazione degli oneri burocratici in materia ove le aziende siano sottoposte alla verifica degli enti de quo.
      Il capo II del titolo I, dedicato ai «princìpi generali di prevenzione», si apre con l'articolo 6, che identifica le «misure generali di tutela» conformemente a quanto fatto dall'articolo 3 del decreto legislativo n. 626 del 1994.
      Nella proposta di legge si è ritenuto di individuare in questa sede unicamente i princìpi di natura più generale e metodologica e non quelli più attinenti ad obblighi specifici. Questi secondi, tuttavia, non sono stati eliminati bensì collocati in altra parte del documento (ad esempio, le misure di emergenza da adottare in caso di pronto soccorso, di cui alla lettera p) del comma 1 dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 626 del 1994, sono contemplate nella parte relativa al primo soccorso o, ancora, gli obblighi di informazione e di consultazione sono riportati nelle disposizioni relative all'informazione e alla consultazione dei lavoratori).
 

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      Al fine di rendere più efficace l'obbligo di limitare i rischi collegati all'ambiente di lavoro tenendo conto degli sviluppi della tecnica e, quindi, tenendo nel dovuto conto la diffusa giurisprudenza formatasi in materia di «massima sicurezza tecnologicamente fattibile», si è ritenuto opportuno puntualizzare, alle lettera b) del comma 1 dell'articolo 6 che l'eliminazione o la riduzione dei rischi al minimo deve essere realizzata «mediante misure tecniche, organizzative e procedurali concretamente attuabili nei diversi settori e nelle differenti lavorazioni in quanto generalmente utilizzate», enfatizzando in tale modo il ruolo delle buone pratiche in funzione di un adeguamento effettivo dei requisiti di sicurezza in azienda agli sviluppi della tecnologia e delle procedure di sicurezza.
      La medesima ottica, corrispondente al criterio di delega di cui alla lettera h) del comma 1 dell'articolo 3 della legge 29 luglio 2003, n. 229, ha suggerito di inserire - alla lettera n) del comma 1 dell'articolo 6 - tra le misure generali di tutela la «programmazione delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza, attraverso l'adozione di codici di condotta e di buone prassi». Tale previsione pone a carico del datore di lavoro una attività di programmazione della sicurezza in azienda, in modo che sia possibile per lui pianificare gli interventi in materia, interventi da realizzare per mezzo di codici di condotta e buone prassi.
      Inoltre, si segnala che la lettera l) del comma 1 dell'articolo 6 specifica che l'allontanamento del lavoratore dall'esposizione a rischio per motivi sanitari deve essere effettuato, a seguito della relativa comunicazione di inidoneità, attraverso l'individuazione di una mansione compatibile con lo stato di salute del dipendente, ove possibile. Si è, in tale modo, reputato opportuno specificare che il datore di lavoro ha l'obbligo di allontanare il lavoratore solo ove abbia ricevuto la comunicazione del giudizio di inidoneità temporale o parziale del lavoratore, al fine di evitare ipotesi di responsabilità oggettiva del datore ove il medesimo non abbia avuto - né abbia potuto avere - notizia del rischio per la salute del dipendente. Al contempo, è stato puntualizzato che il datore di lavoro che abbia ricevuto tale comunicazione di inidoneità debba adibire il prestatore di lavoro ad altra mansione, ovviamente compatibile con il mutato stato di salute del dipendente; tale obbligo viene meno ove non sia possibile (ad esempio a causa dell'assenza di mansioni nella azienda così come attualmente organizzata) lo spostamento senza modificare la organizzazione aziendale.
      Il comma 2 dell'articolo 6 della proposta di legge conferma il principio già espresso dal comma 2 dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 626 del 1994 per il quale «le misure relative alla sicurezza, all'igiene ed alla salute durante il lavoro non devono in nessun caso comportare oneri finanziari per i lavoratori».
      L'articolo 7 del disegno di legge («Obblighi dei datori di lavoro e dei dirigenti»), come già l'articolo 4 del decreto legislativo n. 626 del 1994, conferma l'indelegabilità da parte del datore di lavoro della valutazione del rischio e della nomina del responsabile e degli addetti del servizio di prevenzione e protezione, oltre che l'impianto generale del citato articolo 4 del decreto legislativo n. 626 del 1994.
      Tra le novità introdotte rispetto all'attuale previsione individuativa degli obblighi di datore di lavoro e dirigenti va, tuttavia, segnalata l'introduzione del principio della piena libertà del datore di lavoro di scegliere come redigere il documento di valutazione del rischio. Pertanto, egli può produrre il documento di valutazione che ritiene opportuno, all'unica condizione che sia completo (nel senso che in esso siano stati valutati tutti i rischi presenti in azienda) quanto al suo contenuto. Non a caso, il numero 1) della lettera b) del comma 1 dell'articolo 7 specifica che ciò che conta non è la forma del documento quanto la sua «completezza» e la sua «idoneità quale strumento operativo di pianificazione degli interventi aziendali e di prevenzione».
      Il medesimo numero 1) prevede, nel successivo periodo, che le indicazioni contenute
 

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nel documento di valutazione del rischio non costituiscono, in difetto di un inadempimento degli obblighi di sicurezza da parte del datore di lavoro, di per sé prova ai fini dell'applicazione di sanzioni penali o amministrative, a condizione che la rimozione delle situazioni di mancata o inadeguata ottemperanza di cui vi è traccia nel documento sia programmata nel documento medesimo. La disposizione non intende impedire all'autorità giudiziaria di «trarre notizie di reato» dal documento di valutazione del rischio, ma solo evitare che le indicazioni contenute nello stesso documento vengano assunte, di per sé, quali «fonte o elemento di prova» ai fini sanzionatori. In effetti, il documento di valutazione dei rischi è efficace se e in quanto ne sia riconosciuta la natura di documento di lavoro e, come tale, i suoi contenuti non siano sanzionati indipendentemente da riscontri probatori in ordine a effettive omissioni di adempimenti di sicurezza.
      Altra novità introdotta in ordine agli obblighi del datore di lavoro e del dirigente consiste nella previsione dell'obbligo di fornire al servizio di prevenzione e protezione informazioni su funzioni e compiti assegnati a lavoratori «atipici», quali i lavoratori assunti con contratto a tempo determinato ovvero utilizzati mediante contratto di somministrazione di lavoro di cui agli articoli 20 e seguenti del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, nonché sulla presenza in azienda di lavoratori con rapporti di collaborazione, anche nella modalità a progetto di cui agli articoli 61 e seguenti del medesimo decreto legislativo n. 276 del 2003, che si concretino in una prestazione d'opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato.
      Sempre con riferimento al servizio di prevenzione e protezione, nell'ottica di favorire il funzionamento del servizio stesso e il permanente aggiornamento dei dati a sua disposizione, al comma 2, lettera a), dell'articolo 7 della proposta di legge, si è reputato di inserire una previsione di contenuto del tutto corrispondente al comma 2 dell'articolo 9 del decreto legislativo n. 626 del 1994, prevedendo l'obbligo di informazione del datore di lavoro e del dirigente in ordine a natura dei rischi, organizzazione del lavoro, degli impianti e dei processi produttivi, ai dati del registro infortuni ed, infine, alle prescrizioni degli organi di vigilanza. Ne deriva, ovviamente, che non vi sarà un comma corrispondente nell'articolo relativo ai compiti del servizio di prevenzione e protezione.
      L'articolo 7 della presente proposta di legge conserva, al comma 5, l'obbligo di custodire il documento di valutazione del rischio in azienda specificando, tuttavia - coerentemente con quanto previsto al comma 1, lettera b), dello stesso articolo - che l'organo di vigilanza ne prende visione unicamente a fini conoscitivi.
      In ultimo, si segnala che il comma 6 dell'articolo in commento prevede la possibilità che le aziende fino a cinquanta dipendenti possano usufruire di una modalità semplificata di redazione del documento di valutazione del rischio ove seguano le indicazioni degli organismi bilaterali. Si tratta di una previsione diretta, in attuazione del criterio di delega di cui alla lettera b) del comma 1 dell'articolo 3 della legge 29 luglio 2003, n. 229, a tenere conto delle peculiarità delle piccole e medie imprese, attraverso l'intervento di organismi radicati nei territori di riferimento e nei quali opera una corretta dialettica delle parti sociali.
      La predisposizione di un articolo specificamente dedicato agli obblighi dei preposti si è resa necessaria al fine di dare attuazione al criterio di delega di cui alla lettera d) del citato comma 1 dell'articolo 3 della legge 29 luglio 2003, n. 229, il quale prevede la riformulazione dell'apparato sanzionatorio, con specifico riferimento alle fattispecie contravvenzionali a carico dei preposti. Tali obblighi sono stati individuati con riferimento a quelli indicati all'articolo 4 del decreto legislativo n. 626 del 1994 e operando una loro delimitazione con riferimento alla figura del preposto, tenendo conto della necessità di limitarne il numero, eccessivo rispetto
 

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ai compiti e alle responsabilità del preposto in azienda.
      Con l'articolo 8 («Obblighi dei preposti») sono stati individuati specificamente i compiti dei preposti, tra i quali sono stati, in particolare, ricompresi la vigilanza sull'osservanza delle disposizioni di legge da parte dei lavoratori (con relativa previsione dell'obbligo di comunicazione della perduranza dell'inosservanza ai diretti superiori), l'obbligo di informazione ai lavoratori esposti a un rischio di pericolo grave e immediato e quello di segnalare al datore di lavoro o al dirigente le deficienze dei mezzi, delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale e, più in generale, di ogni situazione di pericolo della quale il preposto sia venuto a conoscenza.
      Il comma 2 del medesimo articolo, relativo agli obblighi dei preposti, puntualizza che in loro assenza i compiti di cui al comma 1 sono svolti dai datori di lavoro o dai dirigenti.
      L'articolo 9 della proposta di legge opera una ridefinizione degli obblighi dei lavoratori, quali descritti dall'articolo 5 del decreto legislativo n. 626 del 1994, ai quali viene chiesta collaborazione fattiva, ovvero di «contribuire, insieme al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti, all'adempimento degli obblighi previsti a tutela della sicurezza e della salute sui luoghi di lavoro», ai fini del miglioramento delle condizioni di sicurezza dell'ambiente di lavoro.
      Sempre nell'ottica, appena segnalata, dell'implementazione del coinvolgimento del lavoratore nella gestione della sicurezza in azienda, la lettera i) del comma 2 dell'articolo 9 prevede che i lavoratori si debbano sottoporre, oltre che ai controlli sanitari già previsti dal decreto n. 626 del 1994, anche ai controlli che possono essere disposti dal medico competente in funzione di prevenzione dei rischi per la salute del lavoratore.
      Rispetto alla corrispondente previsione del decreto legislativo n. 626 del 1994 (articolo 5), l'articolo che la proposta di legge dedica agli obblighi dei lavoratori - vale a dire l'articolo 9 - comprende il comma 3, diretto a imporre obblighi a soggetti ai quali finora non si è affatto applicata la normativa di sicurezza e che, viceversa, vengono ora considerati come destinatari delle disposizioni legali in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. Si tratta dei lavoratori autonomi e dei componenti dell'impresa familiare (articolo 230-bis del codice civile) ai quali - in ragione della peculiare natura dei rispettivi rapporti e per le ragioni già anticipate nella parte più generale della presente relazione - vengono imposti due specifici obblighi, relativi ai dispositivi di protezione individuale e alla sottoposizione alla sorveglianza sanitaria, nei casi previsti dalla proposta di legge.
      L'articolo 10 della proposta di legge individua innanzitutto gli obblighi dei datori di lavoro committenti ed appaltatori nei contratti di appalto, riprendendo la previsione di cui all'articolo 7 del decreto legislativo n. 626 del 1994 e riferendola anche al contratto d'opera. Anche nella rinnovata formulazione, è stato confermato il principio fondamentale (ora espresso al comma 3 dell'articolo 10), in forza del quale il datore di lavoro non può rispondere dei rischi propri dell'impresa appaltatrice, principio anzi esteso ai rischi propri del lavoratore autonomo.
      È stato, altresì, introdotto, al comma 4 dell'articolo 10 della proposta di legge, rispetto al testo dell'articolo 7 del decreto legislativo n. 626 del 1994, il riferimento all'obbligo per il datore di lavoro committente di fornire in uso unicamente macchine o attrezzi rispettosi dei presìdi antinfortunistici di cui alla medesima proposta di legge, attualmente contenuto all'articolo 5, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955.
      Il comma 5 dell'articolo 10 della proposta di legge è diretto a specificare la ripartizione degli obblighi di salute e sicurezza nel distacco, fattispecie ora regolata dall'articolo 30 del decreto legislativo n. 276 del 2003.
      Tenuto conto dell'analogia tra la fattispecie del distacco e quella della somministrazione di cui agli articoli 20 e seguenti
 

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del decreto legislativo n. 276 del 2003 (rilevata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali nella circolare n. 3 del 15 gennaio 2004), si è ritenuto applicabile lo stesso schema previsto per la somministrazione in ordine all'adempimento degli obblighi di sicurezza posti in capo, rispettivamente, al somministratore e all'utilizzatore. Pertanto, il comma in parola costituisce applicazione, con i necessari adattamenti, di tale schema per la determinazione degli obblighi di sicurezza in capo al datore di lavoro distaccante e al soggetto distaccatario.
      L'articolo 6 del decreto legislativo n. 626 del 1994 disciplina gli obblighi di progettisti, fabbricanti, fornitori e installatori. Per ragioni sistematiche, si è scelto di predisporre tre diversi articoli, destinati, rispettivamente, agli obblighi di progettisti, fabbricanti e fornitori e, infine, installatori (articoli 11, 12 e 13), il cui contenuto - salvi i necessari adattamenti alla diversa «filosofia» e struttura della proposta di legge - ripropone quello delle corrispondenti disposizioni del decreto legislativo n. 626 del 1994.
      Il capo III («Attività di prevenzione e protezione») del titolo I della presente proposta di legge si apre con l'articolo 14, dedicato al servizio di prevenzione e protezione dai rischi.
      Dopo aver puntualizzato, al comma 1, che il servizio può essere interno o esterno all'azienda (nel rispetto delle regole di cui alla proposta di legge), nell'articolo 14 si è preferito subito (al comma 2) specificare che i responsabili e gli addetti al servizio in parola devono avere i requisiti e le capacità professionali di cui all'articolo 15 (come individuati dal decreto legislativo n. 195 del 2003). Nello stesso comma si è ritenuto di inserire i princìpi (che hanno portata «generale») in forza dei quali essi devono essere in numero sufficiente, devono poter disporre di mezzi e tempi adeguati per lo svolgimento dei compiti loro assegnati e, infine, che non possono subire pregiudizio a causa dell'attività svolta nell'espletamento del loro compito.
      L'impianto dell'articolo 14 qui illustrato ripropone sostanzialmente quello dell'articolo 8 del decreto legislativo n. 626 del 1994, con l'introduzione di un comma, il 9, nel quale si prevede che nei casi di aziende con più unità produttive e nei casi di gruppi di imprese, può essere istituito un unico servizio di prevenzione e protezione, anche all'interno di società o di strutture appositamente costituite od organizzate dalla società capogruppo.
      L'articolo 15 («Capacità e requisiti professionali degli addetti e dei responsabili dei servizi di prevenzione e protezione interni o esterni») della proposta di legge corrisponde pressoché integralmente all'articolo 8-bis del decreto legislativo n. 626 del 1994, nel testo introdotto dall'articolo 2 del decreto legislativo 23 giugno 2003, n. 195. Va segnalato, tuttavia, che si è reputato opportuno inserire tra i soggetti organizzatori dei corsi di formazione, di cui al comma 2 dell'articolo 15, l'Associazione nazionale dei consulenti del lavoro, in virtù delle competenze in possesso di tale Ordine.
      L'articolo 16 («Compiti del servizio di prevenzione e protezione») corrisponde sostanzialmente all'articolo 9 del decreto legislativo n. 626 del 1994.
      Tuttavia, nella presente proposta di legge non si prevede più che il servizio di prevenzione e protezione provveda in proprio a svolgere i compiti, essendosi ritenuto più logico stabilire che esso collabori con il datore di lavoro o con i dirigenti nel porre in essere le misure organizzative individuate all'articolo in oggetto. Tali misure sostanzialmente coincidono con quelle previste dal decreto legislativo n. 626 del 1994; si consideri che, ad ogni modo, i compiti di cui alle lettere b) e c) del comma 1 dell'articolo 9 del decreto legislativo n. 626 del 1994, sono state accorpate alla lettera b) del comma 1 dell'articolo 16 in commento, mentre rispetto a quanto previsto dalla lettera e) del citato comma 1 dell'articolo 9 del decreto legislativo n. 626 del 1994, nella lettera d) del comma 1 dell'articolo in commento non vi è più il riferimento alla partecipazione alle consultazioni prevista dalla norma sulla riunione periodica di prevenzione
 

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e protezione dei rischi, in quanto sovrabbondante.
      Come già esposto con riferimento agli obblighi del datore di lavoro, si è ritenuto corretto non riproporre nell'articolo 16 della proposta di legge che si commenta la previsione di cui al comma 2 dell'articolo 9 del decreto legislativo n. 626 del 1994 la quale, trattando di un obbligo del datore di lavoro, non può che essere collocata nel relativo articolo. Inoltre, è stato eliminato il comma 4 del citato articolo 9 (il quale statuiva che «il servizio di prevenzione e protezione è utilizzato dal datore di lavoro») in quanto del tutto pleonastico, mentre il comma 3 del medesimo articolo è stato conservato nella sua formulazione, divenendo comma 2 dell'articolo 16 della proposta di legge che si illustra.
      L'articolo 17 («Svolgimento diretto da parte del datore di lavoro dei compiti di prevenzione e protezione») della proposta di legge conferma che il datore di lavoro ha facoltà di svolgere direttamente i compiti propri del servizio di prevenzione e protezione dai rischi nonché di prevenzione incendi e di evacuazione, dandone preventiva informazione al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.
      Al riguardo, viene mantenuta la tecnica usata dal decreto legislativo n. 626 del 1994 del rinvio all'allegato I per individuare le aziende nelle quali è possibile per il datore di lavoro svolgere direttamente i compiti del servizio di prevenzione e protezione e di prevenzione incendi e di evacuazione; tuttavia, si è provveduto - nella ridefinizione dell'allegato I - ad innalzare la soglia minima di addetti al di sotto della quale è possibile per il datore svolgere in proprio i compiti in oggetto. Sul punto, si consideri quanto già prima esposto in ordine all'introduzione nella proposta di legge di un articolo ad hoc, l'articolo 4, per l'individuazione dei soggetti che non vengono computati nell'organico dell'impresa e di quelli che vengono computati in proporzione al numero delle ore effettivamente prestate nell'arco di un semestre (lavoratori assunti attraverso somministrazione di lavoro, contratto di lavoro ripartito o intermittente). Entrambe le modifiche sono state pensate nell'ottica della semplificazione degli adempimenti per le piccole e medie imprese, in attuazione del criterio di delega di cui alla lettera b) del comma 1 dell'articolo 3 della legge 29 luglio 2003, n. 229, ferma restando la necessità che le medesime imprese rispettino tutti gli obblighi di cui alla proposta di legge.
      Il comma 2 dell'articolo 17 della proposta di legge puntualizza, così come già fatto al comma 2 dell'articolo 10 del decreto legislativo n. 626 del 1994, che il datore di lavoro che intende svolgere i compiti di cui al comma 1, deve frequentare un apposito corso di formazione, i cui contenuti formativi sono ora individuati specificamente nel decreto dei Ministri del lavoro e della previdenza sociale e della sanità 16 gennaio 1997, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 27 del 3 febbraio 1997, e tenere a disposizione degli organi di vigilanza il relativo attestato.
      Si è ritenuto opportuno, in applicazione della logica della riforma (quella di una gestione della sicurezza che non passi per adempimenti formali e burocratici ma per adempiamenti sostanziali e per obiettivi), non riproporre a carico del datore di lavoro gli adempimenti di trasmissione di cui alle lettere a), b) e c) del comma 2 dell'articolo 10 del decreto legislativo n. 626 del 1994, in quanto sovrabbondanti perché inidonei a determinare un innalzamento dei livelli di tutela e, comunque, superati tenendo conto del rinnovato assetto, in funzione più marcatamente prevenzionistica, di tutti gli adempimenti in materia di sicurezza delineato nella proposta di legge (per un esempio, si veda quanto tra poco si dirà con riferimento alla previsione di cui alla lettera b) del comma 2 dell'articolo 18 della presente proposta di legge; sempre a titolo esemplificativo si consideri, inoltre, che datore di lavoro o dirigenti - come previsto dal numero 3) della lettera a) del comma 2 dell'articolo 7 della presente proposta di legge - devono fornire al servizio di prevenzione e protezione i dati del registro infortuni e malattie professionali). Sul punto, si consideri che si parla di comunicazioni
 

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che erano dirette, nel sistema delineato dall'articolo 10 del decreto legislativo n. 626 del 1994, all'organo di vigilanza, quindi ex se orientate più alla repressione di comportamenti di inadempimento degli obblighi di sicurezza che alla loro prevenzione.
      Il comma 1 dell'articolo 18 («Riunione periodica di prevenzione e protezione») della presente proposta di legge è conforme al comma 1 dell'articolo 11 del decreto legislativo n. 626 del 1994, mentre al comma 2 del medesimo articolo 18 si è inserito, nell'ottica della migliore prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e ai fini della pianificazione nel tempo delle misure maggiormente idonee a tale scopo, in aggiunta a quanto stabilito dall'articolo 11, comma 2, del decreto legislativo n. 626 del 1994, che il datore di lavoro sottoponga all'esame dei partecipanti della riunione anche «l'andamento degli infortuni e delle malattie professionali» (lettera b), che «sostituisce», rendendolo maggiormente idoneo ad assicurare una effettiva funzione prevenzionistica dell'adempimento, la previsione di cui alla lettera c) del comma 2 dell'articolo 10 del decreto legislativo n. 626 del 1994) e «l'organizzazione della sorveglianza sanitaria» (lettera c).
      Inoltre, sempre nel comma 2, appena citato, si è ritenuto di eliminare la previsione, contenuta nel comma 2, lettera b), dell'articolo 11 del decreto legislativo n. 626 del 1994, che riguarda la sottoposizione all'esame dei partecipanti anche «dell'idoneità dei mezzi di protezione individuale», di incerta portata e di infelice formulazione letterale.
      Il comma 3 dell'articolo 18 della presente proposta di legge è stato inserito al fine di dare una portata meno burocratica e più propositiva alla riunione periodica, cogliendo tale occasione come la più idonea per l'individuazione di buone prassi di prevenzione e di obiettivi di miglioramento della sicurezza sulla base di linee guida da applicare nella specifica realtà aziendale. L'ottica è quella della gestione della sicurezza per obiettivi ed attraverso buone prassi.
      Il successivo comma 4 corrisponde testualmente al comma 3 dell'articolo 11 del decreto legislativo n. 626 del 1994, confermando il principio in forza del quale la riunione va indetta in ogni ipotesi di significative variazioni delle condizioni di esposizione al rischio nell'ambiente di lavoro e ove l'introduzione di nuove tecnologie possa incidere sulle condizioni di sicurezza.
      In ragione della loro peculiarità rispetto alle realtà lavorative più grandi (specie per quanto concerne il contatto quotidiano tra i componenti della compagine aziendale, che rende superfluo indire una specifica riunione su temi di certo già dibattuti in azienda), si è ritenuto - sempre nell'ottica della semplificazione degli adempimenti per le imprese più piccole - di non riproporre nella presente proposta di legge la previsione di cui al comma 4 dell'articolo 11 del decreto legislativo n. 626 del 1994, in forza della quale nelle aziende fino a quindici dipendenti è possibile che il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza chieda un'apposita riunione in caso di modifiche dell'organizzazione aziendale o di introduzione di nuove tecnologie.
      Infine, il comma 5 dell'articolo 18 ha mantenuto, a fini di verifica e per scoraggiare l'utilizzo della riunione come adempimento burocratico privo di effettivi contenuti, la previsione della redazione di un verbale della riunione medesima (comma 5 del decreto legislativo n. 626 del 1994, la cui formulazione è stata modificata per ragioni stilistiche, anche eliminando la previsione - inutile - per cui debba essere necessariamente il datore di lavoro a redigere, eventualmente anche tramite il servizio di prevenzione e protezione, il verbale).
      Il capo III del titolo I («Prevenzione degli incendi, evacuazione dei luoghi di lavoro e primo soccorso»), la cui rubrica comprende - così come si farà in altre parti del testo - l'espressione «primo soccorso», usata in luogo del «pronto soccorso» citato nel decreto legislativo n. 626 del 1994, in quanto meglio rispondente al concetto di first aid di cui alle
 

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direttive comunitarie di riferimento, si apre con l'articolo 19 («Disposizioni generali»), il quale corrisponde, con piccole modifiche di tipo stilistico, all'articolo 12 del decreto legislativo n. 626 del 1994.
      All'articolo 20 («Prevenzione degli incendi») della presente proposta di legge, così come fatto nel decreto legislativo n. 626 del 1994, in materia di prevenzione degli incendi, si è innanzitutto fatto salvo il rinvio alle previsioni del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 29 luglio 1982, n. 577; tuttavia, rispetto all'articolo 13 del decreto legislativo n. 626 del 1994, si è preferito richiamare le previsioni del decreto del Ministro dell'interno 10 marzo 1998, pubblicato come supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 81 del 7 aprile 1998, recante «Criteri generali di sicurezza antincendio e per la gestione dell'emergenza nei luoghi di lavoro» specificando come esse (a seconda della loro tipologia) si considereranno come norme di buona tecnica o buone prassi, ai sensi e per gli effetti della proposta di legge.
      L'articolo 21 («Diritti dei lavoratori in caso di pericolo grave e immediato») della proposta di legge corrisponde testualmente all'articolo 14 del decreto legislativo n. 626 del 1994 e sancisce il principio per il quale in caso di pericolo grave, immediato e che non può essere evitato, il lavoratore può allontanarsi dal posto di lavoro o da una zona pericolosa, senza subire pregiudizio alcuno e, al contempo, che deve prendere le misure idonee per evitare le conseguenze del pericolo, ove non sia possibile contattare il superiore gerarchico.
      I primi due commi dell'articolo 22 («Primo soccorso») della proposta di legge che si commenta corrispondono ai primi due commi dell'articolo 15 del decreto legislativo n. 626 del 1994. Il comma 3 del medesimo articolo 22, a differenza del corrispondente comma 3 dell'articolo 15 del decreto legislativo n. 626 del 1994, che prevedeva in materia l'emanazione di un decreto interministeriale, individua le caratteristiche minime delle attrezzature di primo soccorso con il rinvio al recente regolamento di cui al decreto dei Ministri della salute, del lavoro e delle politiche sociali, per la prevenzioni pubblica e delle attività produttive 15 luglio 2003, n. 388.
      Di conseguenza, il comma 4 dell'articolo 15 del decreto legislativo n. 626 del 1994, che statuiva che restassero in vigore le disposizioni previgenti sino all'emanazione della normativa prevista dal comma 2, è stato eliminato nel presente testo, appunto in quanto il regolamento appena citato costituisce tale normativa.
      Il capo V («Sorveglianza sanitaria») del titolo I della presente proposta di legge si apre con l'articolo 23 («Contenuto della sorveglianza sanitaria»), il quale corrisponde alla formulazione dell'articolo 16 del decreto legislativo n. 626 del 1994. Tuttavia, si è inserita al comma 2 dell'articolo 23 una lettera c) che - in funzione del potenziamento della prevenzione della salute dei lavoratori - include all'interno della sorveglianza sanitaria le «visite mediche richieste dal lavoratore ove il medico competente le ritenga correlate a rischi professionali».
      L'articolo 24 («Medico competente») individua i compiti del medico competente, figura di rilievo centrale per la gestione della sicurezza in azienda, sulla falsariga del modello già delineato all'articolo 17 del decreto legislativo n. 626 del 1994, il cui impianto risulta, salvo modifiche di dettaglio, sostanzialmente confermato.
      Tra le novità introdotte, rispetto alla formulazione di cui all'articolo 17 del decreto legislativo n. 626 del 1994, con l'articolo 24 della proposta di legge, si segnala la previsione (lettera c) del comma 1 dell'articolo in commento) della custodia della cartella sanitaria o di rischio presso lo studio del medico e non più in azienda per le piccole imprese (quali individuate dall'allegato I alla proposta di legge), quella della necessità di rilasciare copia delle documentazione sanitaria al lavoratore alla cessazione del rapporto di lavoro (lettera e) inserita in funzione di una tutela della salute del lavoratore che prescinda dalla sussistenza di un rapporto di lavoro e in qualche misura «sopravviva» alla sua cessazione), e quella (lettera i), in
 

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attuazione delle previsioni comunitarie al riguardo) dell'invio all'ISPESL delle cartelle sanitarie e di rischio e di ogni altra documentazione nei casi previsti dalla proposta di legge, alla cessazione del rapporto di lavoro.
      Inoltre, i commi 3 e 4 dell'articolo 24 della proposta di legge prevedono l'obbligo di comunicazione per iscritto nei confronti del datore di lavoro e del lavoratore del giudizio di inidoneità parziale, temporanea o totale, e la possibilità di ricorrere in via amministrativa avverso tali giudizi.
      Il capo VI («Consultazione e partecipazione dei lavoratori») disciplina innanzitutto, all'articolo 25 («Rappresentante per la sicurezza»), le prerogative del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, le quali sono le medesime già conferite e regolate dai primi quattro commi dell'articolo 18 del decreto legislativo n. 626 del 1994, la cui formulazione è stata trasposta nei primi quattro commi dell'articolo in commento.
      Si è, invece, reputato opportuno eliminare la previsione di cui al comma 5 dell'articolo 18 del decreto legislativo n. 626 del 1994, che prevede l'intervento del Ministero del lavoro e della previdenza sociale in caso di mancato accordo tra le parti, in quanto superato dall'intervento della contrattazione collettiva in materia e, comunque, ove si considerino le previsioni inderogabili in materia di individuazione delle prerogative dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza contenute nella proposta di legge.
      Il comma 6 dell'articolo 25 della presente proposta di legge differisce dal comma 7 dell'articolo 18 del decreto legislativo n. 626 del 1994, in quanto individua i contenuti minimi della formazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza attraverso lo specifico rinvio alle previsioni di cui all'articolo 2 del citato decreto interministeriale 16 gennaio 1997.
      L'articolo 26 («Attribuzioni del rappresentante per la sicurezza») della proposta di legge introduce, al comma 1, un rinvio alla contrattazione collettiva, diretto a evidenziare la conferma della scelta, già al riguardo operata dal decreto legislativo n. 626 del 1994, nel senso che la materia delle attribuzioni dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza sia innanzitutto rimessa alla dialettica sindacale, nel rispetto dei requisiti «di base» stabiliti da legge.
      La lettera a) del medesimo comma 1, puntualizza un principio già contenuto in diversi contratti collettivi in forza del quale la facoltà di accesso del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza ai luoghi di lavoro deve essere esercitata «previa informativa al datore di lavoro o al dirigente o al preposto competente» in modo che le prerogative del rappresentante vengano esercitate salvaguardando l'andamento delle attività lavorative. La medesima logica è sottesa alla previsione di cui al comma 3 dell'articolo 26 il quale impone al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza il rispetto del segreto industriale relativamente alle informazioni contenute nel documento di valutazione dei rischi.
      Sempre con riferimento al documento di valutazione dei rischi, la lettera e) del comma 1 dell'articolo 26 conferma l'obbligo datoriale di fornire al rappresentante le informazioni e la documentazione aziendale inerenti alla valutazione dei rischi e alle relative misure di prevenzione, puntualizzando che il rappresentante non riceve il documento di valutazione. Tale ultima specificazione è diretta a chiarire definitivamente che un obbligo di riproduzione del documento e di consegna dello stesso al rappresentante non può essere configurato, anche nel caso in cui ciò fosse tecnicamente praticabile, a motivo della riservatezza industriale (si consideri, al riguardo, quanto previsto dal già citato comma 3 dell'articolo in commento) che spesso caratterizza molte delle informazioni in esso contenute. Al riguardo, si è tenuto conto che le stesse parti sociali, nell'accordo interconfederale Confindustria-CGIL-CISL-UIL del 22 giugno 1995, hanno convenuto che il diritto di accesso del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza al documento di valutazione dei rischi di cui all'articolo 4, comma 2, del decreto legislativo n. 626 del 1994 - a
 

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differenza della documentazione di cui all'articolo 19, comma 1, lettera e), del medesimo decreto legislativo («documentazione aziendale inerente alla valutazione dei rischi», che è cosa diversa dal vero e proprio «documento di valutazione dei rischi») - si esercita esclusivamente mediante consultazione presso la sede aziendale.
      Rispetto alla correlativa previsione (articolo 20) del decreto legislativo n. 626 del 1994, l'articolo 27 («Organismi bilaterali») della presente proposta di legge sostituisce alla precedente dizione di «organismi paritetici» quella di «organismi bilaterali», il cui ruolo nel rinnovato «sistema di sicurezza» delineato dalla proposta di legge è di assoluto rilievo. Appunto in ragione della importanza delle prerogative attribuite a tali organismi, al comma 1 dell'articolo 27, si è introdotto un rinvio ai contratti collettivi nazionali, come sedi idonee a individuare la struttura tecnica della quale gli enti in parola devono essere muniti per svolgere le funzioni loro attribuite.
      Sempre il comma 1 dell'articolo 27 conferma la previsione già contenuta all'articolo 20 del decreto legislativo n. 626 del 1994, attribuendo innanzitutto agli organismi bilaterali funzioni di orientamento e di promozione di iniziative formative nei confronti dei lavoratori e dei loro rappresentanti. Allo stesso modo, il comma 2 dell'articolo 27 ribadisce (eguale previsione si trova al secondo periodo del comma 1 dell'articolo 20 del decreto legislativo n. 626 del 1994) che gli organismi paritetici rappresentano la prima istanza di riferimento in merito a controversie sorte sull'applicazione dei diritti di rappresentanza, informazione e formazione previsti dalle norme vigenti.
      Il comma 3 dell'articolo 27 (che riguarda il pubblico impiego) corrisponde alla formulazione del comma 3 dell'articolo 20 del decreto legislativo n. 626 del 1994, mentre nella presente proposta di legge si è ritenuto di non riproporre il comma 2 del citato articolo 20 in quanto disposizione - relativa agli organismi bilaterali o partecipativi previsti da accordi collettivi alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 626 del 1994 - allo stato ormai priva di senso.
      Il comma 4 dell'articolo 27 conferisce agli organismi bilaterali l'importante facoltà di effettuare, nelle aziende che occupano fino a 100 dipendenti e a richiesta dei datori di lavoro, sopralluoghi finalizzati a verificare l'applicazione in azienda delle vigenti norme in materia di sicurezza e tutela della salute sui luoghi di lavoro e di rilasciare una certificazione. Di tali attività di controllo e certificazione, sempre nell'ottica della natura volontaria del controllo e non vincolante della certificazione, gli organi di vigilanza in materia di sicurezza e salute tengono conto ai fini della programmazione delle proprie attività ispettive di vigilanza.
      Infine, il comma 5 dell'articolo 27 attribuisce agli organismi bilaterali il compito di formulare proposte alla Commissione consultiva di cui all'articolo 35 per quanto concerne l'aggiornamento dei valori limite di esposizione professionale e dei valori biologici relativi agli agenti chimici, delle norme di buona tecnica e delle buone prassi nonché con riferimento alle specifiche problematiche discusse dai gruppi eventualmente creati ad hoc nell'ambito della stessa Commissione consultiva.
      Il primo articolo del capo VII («Informazione e formazione dei lavoratori») del titolo I della proposta di legge è l'articolo 28, in materia di informazione, il quale riprende la formulazione dell'articolo 21 del decreto legislativo n. 626 del 1994. I due testi differiscono, tuttavia, quanto alla specificazione, contenuta nell'articolo 28, che gli obblighi di informazione gravano sul dirigente, ove non sul datore di lavoro, e nell'eliminazione, sempre nel citato articolo 28, della previsione per cui datore o dirigente devono fornire ai lavoratori informazioni sul responsabile del servizio di prevenzione e protezione e sul medico competente (lettera f) del comma 1 dell'articolo 21 del decreto legislativo n. 626 del 1994) in quanto di infelice formulazione letterale e di nessuna effettiva rilevanza sul miglioramento dei livelli di sicurezza in azienda.
 

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      Infine, al medesimo articolo 28 non si trova una previsione analoga a quella di cui al comma 2 dell'articolo 21 del decreto legislativo n. 626 del 1994, relativa all'informazione ai lavoratori a domicilio e con contratto di portierato, in quanto l'articolo 3, comma 3, della proposta di legge statuisce che nei confronti di tali tipologie di lavoratori trovano applicazione gli obblighi di informazione e formazione di cui alla medesima proposta di legge.
      L'articolo 29 della proposta di legge è dedicato alla formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti, introducendo, al comma 1, il concetto per il quale la formazione dei lavoratori può essere considerata adeguata solo ove commisurata al rischio dell'ambiente di lavoro quale considerato nel documento di valutazione dei rischi, in tale modo consentendo alla norma un margine di adattabilità alle diverse, molteplici, possibili situazioni aziendali.
      Tuttavia, al fine di predisporre un livello «minimo» di formazione per tutte le aziende, si è reputato (lettere a) e b) del comma 1 dell'articolo 29) opportuno puntualizzare che la formazione deve comunque svolgersi con riferimento ai rischi correlati al lavoro, alle misure di prevenzione e protezione e, infine, relativamente ai diritti ed ai doveri del lavoratore in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Per le stesse ragioni indicate al commento dell'articolo 28, nessuna specificazione è stata operata nei confronti dei lavoratori a domicilio o con contratto privato di portierato.
      I commi 2 e 3 del medesimo articolo 29 coincidono con i commi 2 e 3 dell'articolo 22 del decreto legislativo n. 626 del 1994; il comma 4 dell'articolo 29 coincide sostanzialmente (salvo affinamenti linguistici) con il comma 5 del citato articolo 22 e il comma 5 dell'articolo 29 coincide con il comma 4 dello stesso articolo 22.
      Il comma 6 dell'articolo 29 prevede il rinvio alla contrattazione collettiva nazionale di categoria per l'individuazione di modalità e contenuti specifici della formazione del rappresentante per la sicurezza, eliminando in tale modo la previsione del possibile intervento (invero, mai verificatosi) del Ministero del lavoro e della previdenza sociale in una materia che deve essere riservata alle parti sociali, quale contenuta al comma 7 dell'articolo 22 del decreto legislativo n. 626 del 1994.
      Il comma 7 dell'articolo 29, riproponendo la sostanza del comma 6 dell'articolo 22 del decreto legislativo n. 626 del 1994, specifica che la formazione dei lavoratori e quella dei loro rappresentanti deve avvenire, in collaborazione con gli organismi bilaterali di cui all'articolo 27, durante l'orario di lavoro e non può comportare oneri economici a carico dei lavoratori.
      L'articolo 30 («Formazione dei responsabili e degli addetti ai servizi di prevenzione e protezione») opera il rinvio alla disciplina in materia di formazione di responsabile e di addetti del servizio di prevenzione e protezione, così come risultante dall'accordo (attuativo delle disposizioni di cui al decreto legislativo n. 195 del 2003) in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano (provvedimento 26 gennaio 2006, pubblicato in nella Gazzetta Ufficiale n. 37 del 14 febbraio 2006) in materia.
      Il capo VIII («Disposizioni concernenti la pubblica amministrazione») del titolo I della proposta di legge si occupa, innanzitutto, della vigilanza in materia di salute e sicurezza, il cui attuale assetto di competenze risulta del tutto confermato.
      L'articolo 31 della proposta di legge, appunto dedicato alla vigilanza, rispetto all'articolo 23 del decreto legislativo n. 626 del 1994, differisce, innanzitutto, per il riferimento, contenuto al comma 1, alla futura attuazione della delega di cui al decreto legislativo n. 300 del 1999.
      Inoltre, l'articolo 31 non comprende più le previsioni dei commi 2 e 3 dell'articolo 23 del decreto legislativo n. 626 del 1994, relative alla possibile diversificazione delle competenze istituzionali in materia di vigilanza per le attività lavorative comportanti rischi particolarmente elevati per mezzo di decreto, che sono state eliminate.
 

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      Il comma 2 dell'articolo 31 contiene, così come già il comma 1, il riferimento alla futura attuazione della delega di cui al decreto legislativo n. 300 del 1999, corrispondendo, per il resto, al comma 4 del decreto legislativo n. 626 del 1994.
      L'articolo 32 («Potere di disposizione») del disegno di legge che qui si commenta «rivitalizza» lo strumento della disposizione, innanzitutto utilizzabile - ai sensi del comma 1 dell'articolo 32 - nei casi in cui siano applicabili norme di buona tecnica o buone prassi, nei limiti e con i meccanismi delineati nella proposta di legge.
      Il comma 2 del citato articolo 32 dispone che avverso le disposizioni di cui al comma 1 è possibile proporre ricorso - entro un mese e con eventuale richiesta di sospensione - all'autorità gerarchicamente superiore all'organo di vigilanza che ha impartito il provvedimento. Detta tipologia di ricorso è già prevista dall'articolo 21, quinto e sesto comma, della legge 23 dicembre 1978, n. 833, e dall'articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica n. 520 del 1955.
      L'eventuale inosservanza delle citate disposizioni comporterà l'applicazione di una pesante sanzione penale (arresto da tre a sei mesi) o di un'ammenda di notevole ammontare (da 3.000 a 5.000 euro), quali individuate nell'apparato sanzionatorio.
      L'articolo 33 («Informazione, consulenza ed assistenza») della presente proposta di legge coincide con l'articolo 24 del decreto legislativo n. 626 del 1994, che si è reputato di non modificare.
      Il successivo articolo 34 («Verifica sull'applicazione della normativa») esprime una delle linee portanti della struttura della proposta di legge prevedendo, al comma 1, l'effettuazione di un'attività di monitoraggio e di verifica sull'effettiva applicazione della normativa di sicurezza e salute effettuata congiuntamente dalle regioni, dalle province autonome, dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale e dal Ministero della salute e dalle parti sociali mediante accordi e con metodi di misurazione condivisi.
      Il comma 2 dell'articolo 34 specifica che ai fini della citata attività di «benchmarking» deve essere utilizzato il sistema informativo nazionale, delle regioni, dell'ISPESL, dell'INAIL e del Ministero del lavoro e della previdenza sociale.
      L'articolo 35 («Commissione permanente per la prevenzione degli infortuni e l'igiene del lavoro») della proposta di legge provvede a una rivisitazione della Commissione consultiva di cui agli articoli 393 e 394 del decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, e successive modificazioni, sia quanto alla sua composizione, necessariamente ridotta a favore dell'efficacia ed effettività dell'azione dell'organismo, pure conservando la partecipazione delle pubbliche amministrazioni e delle parti sociali, sia quanto alle sue attribuzioni, inquadrate nel rinnovato quadro giuridico delineato dalla proposta di legge.
      Tra le novità contenute nell'articolo si segnalano, in particolare:

          1) l'aumento del numero di anni di carica a cinque (dagli attuali tre), al fine di permettere una migliore pianificazione nel tempo e una superiore efficacia dei compiti della Commissione (comma 3);

          2) la possibilità per la Commissione di richiedere la consulenza di esperti nei diversi settori di interesse per l'attività della Commissione (comma 2);

          3) la previsione dell'istituzione di un gruppo per la determinazione e l'aggiornamento dei valori limite di esposizione professionale e dei valori limite biologici relativi agli agenti chimici (comma 5, lettera a));

          4) la previsione dell'istituzione di un gruppo per l'aggiornamento delle norme di buona tecnica e delle buone prassi di cui ai citati decreti del Presidente della Repubblica degli anni cinquanta (comma 5, lettera b));

          5) la possibilità di costituire gruppi di lavoro temporanei per specifiche problematiche (comma 5, lettera c)).

 

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      Le nuove competenze della Commissione vengono identificate al comma 6 dell'articolo 35 in commento nell'elaborazione dei piani di azione annuali per la promozione della salute e della sicurezza su tutto il territorio nazionale, in quella di linee guida tecniche da parte dell'INAIL, dell'ISPESL e dell'IIMS finalizzate ad assicurare unità e omogeneità di comportamenti in tutto il territorio nazionale nell'applicazione delle disposizioni in materia di sicurezza e salute dei lavoratori anche ai fini del coordinamento dei codici e delle raccolte di buone prassi realizzate da parte delle regioni e, infine, nell'elaborazione dei piani di coordinamento delle attività di sostegno alle imprese da parte di INAIL, ISPESL e IIMS.
      Il comma 7 dell'articolo 35 - in applicazione del criterio per cui occorre evitare ogni onere per la finanza pubblica - puntualizza che ai componenti della Commissione non spetta alcun gettone di presenza e che le eventuali spese di viaggio e di soggiorno sono poste a carico dell'amministrazione, dell'ente o dell'organizzazione di appartenenza.
      Il comma 1 dell'articolo 36 («Azioni positive per le piccole e medie imprese») della presente proposta di legge, prevede un ampliamento delle competenze istituzionali dell'INAIL, tra le quali viene fatto rientrare il miglioramento della sicurezza e salute sui luoghi di lavoro, specie con riferimento alle piccole e medie imprese e ai settori agricolo e artigianale.
      A seguito dell'attribuzione della competenza istituzionale di cui al comma 1, il comma 2 dell'articolo in commento dispone che l'INAIL esercita tale competenza per mezzo di sostegni finanziari (così come ha fatto con i finanziamenti di cui al decreto legislativo n. 38 del 2000) a interventi informativi e formativi in materia di sicurezza e di sostegno per l'adeguamento di strutture, impianti e organizzazione delle imprese alla normativa antinfortunistica nonché di individuazione e diffusione di buone pratiche per lo sviluppo delle azioni di prevenzione.
      Il successivo comma 3 specifica che gli interventi di cui ai commi 1 e 2 sono a carico dell'INAIL e non possono comportare oneri aggiuntivi per la finanza pubblica.
      L'articolo 37 («Attività promozionali») della proposta di legge è diretto a potenziare il ruolo del Ministero del lavoro e della previdenza sociale in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, sia attraverso l'utilizzo di una percentuale dei fondi oggi destinati al finanziamento di progetti di ricerca in tale materia al fine del finanziamento di attività congressuali o promozionali, che per il tramite del coordinamento - a seguito del confronto con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano - dei piani di azione e delle attività di sostegno definite dalla «nuova» Commissione di cui all'articolo 35.
      Il capo IX («Documentazione tecnico-amministrativa e statistiche degli infortuni e delle malattie professionali») del titolo I della proposta di legge introduce il principio generale per il quale tutta la documentazione di cui alla medesima proposta di legge può essere memorizzata per mezzo di sistemi di elaborazione automatica di dati, a condizione che si rispettino le previsioni di cui all'articolo 38 della stessa proposta di legge.
      L'articolo appena citato individua, al comma 2, una procedura «di sicurezza» che deve essere necessariamente seguita da chi decida di utilizzare strumenti automatici per la memorizzazione di documenti rilevanti per la sicurezza.
      Il successivo comma 3 prevede che nelle aziende ad articolazione complessa l'accesso ai dati può avvenire mediante reti di comunicazione elettronica, sempre nel rispetto delle citate regole «generali», di cui al comma 2, in materia di immissione e di validazione dei dati.
      Il comma 4 dell'articolo 38 impone che tutta la documentazione sia custodita nel rispetto delle disposizioni del recente codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo n. 196 del 2003.
      In piena coerenza con quanto previsto dall'articolo appena illustrato, l'articolo 39

 

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(«Comunicazioni e trasmissione di documentazione») della presente proposta di legge formula il principio che ogni trasmissione nei confronti di enti o di amministrazioni pubblici può essere effettuata tramite sistemi informatizzati (posta elettronica eccetera), nel rispetto delle istruzioni che ciascun ente o amministrazione fornirà al riguardo.
      L'articolo 40 («Statistiche degli infortuni e delle malattie professionali»), in materia di creazione e funzionamento di un sistema nazionale per lo scambio di dati relativi agli infortuni e alle malattie professionali, coincide totalmente con l'articolo 29 del decreto legislativo n. 626 del 1994, che si è scelto di non modificare.
      Il titolo II («Luoghi di lavoro») della presente proposta di legge costituisce il primo dei titoli «speciali», come tali intendendosi i titoli dedicati all'attuazione di specifiche direttive comunitarie in materia di salute e sicurezza «figlie» della citata direttiva «madre», 89/391/CEE. Al riguardo, si puntualizza sin d'ora che tali titoli sono stati riformulati tenendo conto innanzitutto delle previsioni delle direttive di volta in volta applicabili e dei rispettivi allegati, le quali hanno costituito il parametro indefettibile di riferimento per individuare quale parte della normativa italiana - sia di attuazione delle previsioni comunitarie che previgente ad esse (si pensi ai citati decreti del Presidente della Repubblica degli anni cinquanta) - mantenere intatta nella sua formulazione, quale modificata o integrata, quale trasformata in norma di buona tecnica, e, infine, quale abrogata.
      Il primo risultato di tale metodologia di redazione della proposta di legge è già visibile negli articoli dedicati ai luoghi di lavoro (articoli 41-44), che sono stati predisposti tenendo conto delle previsioni delle direttive 89/654/CEE del Consiglio, del 30 novembre 1989, e 92/57/CEE del Consiglio, del 24 giugno 1992, e dei rispettivi allegati, trasposti negli allegati III (che raccoglie tutti gli allegati alla direttiva 89/654/CEE) e IV (trattasi dell'allegato che comprende in un unico documento gli allegati alla direttiva 92/57/CEE) della proposta di legge.
      L'articolo 41 della proposta di legge definisce il concetto di «luoghi di lavoro» riprendendo, appunto, la formulazione di cui alla direttiva 89/654/CEE, già sostanzialmente recepita dall'articolo 30 del decreto legislativo n. 626 del 1994. Anche le esclusioni dell'applicazione della normativa in materia di luoghi di lavoro (che non ha effetto relativamente ai mezzi di trasporto, alle industrie estrattive, ai pescherecci, nonché ai campi, boschi e altri terreni facenti parte di una impresa agricola o forestale, ma situati fuori dall'area edificata dell'azienda) sono state individuate, come già fatto dal citato articolo 30 del decreto legislativo n. 626 del 1994, secondo la formulazione della citata direttiva. Tuttavia, nella proposta di legge si è reputato opportuno prevedere che le disposizioni in materia di luoghi di lavoro si applichino anche ai cantieri temporanei e mobili, per i quali è stato predisposto un apposito allegato, il già citato allegato IV, richiamato dall'articolo 42 («Requisiti di sicurezza e di salute») della proposta di legge.
      L'articolo appena richiamato specifica che tutti i luoghi di lavoro devono essere conformi ai requisiti generali di salute e sicurezza di cui all'allegato III o, qualora trattasi di cantieri temporanei o mobili, a quelli di cui all'allegato IV, puntualizzando che i luoghi di lavoro realizzati secondo «norme di buona tecnica», ai sensi della proposta di legge, si considerano rispondenti a tali requisiti generali di salute e sicurezza. Infine, ai commi 3 e 4, il medesimo articolo 42 specifica quali disposizioni, in relazione ai citati decreti del Presidente della Repubblica degli anni cinquanta, si debbano considerare «norme di buona tecnica» o «buone prassi».
      Il successivo articolo 43 conserva, nella stessa formulazione le lettere a), b), c) e d) del comma 1 dell'articolo 32 del decreto legislativo n. 626 del 1994, attuative delle previsioni di direttiva divenute rispettivamente lettere c), d), e) e f) del comma 1 dell'articolo in commento. Inoltre, nell'articolo 43 della proposta di legge vengono
 

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introdotte le lettere a) e b) del comma 1 le quali impongono, rispettivamente, che i luoghi di lavoro devono essere rispondenti ai requisiti generali di cui all'articolo 42, comma 1, e che devono essere adottate, previa consultazione del rappresentante per la sicurezza, le misure alternative - autorizzate dall'organo di vigilanza competente per territorio - che garantiscano un livello di sicurezza equivalente, qualora vincoli urbanistici o architettonici ostino all'attuazione di quanto previsto alla lettera a).
      L'articolo 44 della proposta di legge corrisponde all'articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 303, che detta la disciplina per i locali sotterranei conservando il generale divieto di adibizione al lavoro di locali sotterranei o semisotterranei, salvo deroghe (alle condizioni di cui alla proposta di legge) e, comunque, in modo che siano assicurate idonee condizioni di aerazione, di illuminazione e microclimatiche. Infine, il comma 3 dell'articolo in commento prevede che l'organo di vigilanza può consentire l'uso dei locali sotterranei e semisotterranei anche per altre lavorazioni per le quali non ricorrono le esigenze tecniche, quando dette lavorazioni non diano luogo ad emissioni di agenti nocivi, sempre che siano rispettate le norme della presente proposta di legge e si sia provveduto ad assicurare le condizioni di cui al comma 2 dello stesso articolo 44.
      Il titolo III («Attrezzature di lavoro») della presente proposta di legge individua innanzitutto, all'articolo 45 («Definizioni») in cosa consistano le attrezzature di lavoro. Le definizioni sono state mutuate tutte dalla direttiva 89/655/CEE, del Consiglio, del 30 novembre 1989, e successive modificazioni, ad eccezione di quella di «lavoro in quota», che si è preferito definire a seguito della constatazione di una serie di difficoltà della giurisprudenza a delineare in maniera uniforme il campo di applicazione della disciplina delle attrezzature di lavoro utilizzate nei lavori in quota e per evitare, in tale modo, interpretazioni difformi.
      Pertanto, la citata direttiva costituisce, così come modificata dalla direttiva 95/63/CE del Consiglio, del 5 dicembre 1995, e della direttiva 2001/45/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, il provvedimento comunitario considerato - insieme ai relativi allegati I e II (così come risultano dalle modifiche succedutesi) - al fine di individuare le prescrizioni minime di sicurezza in materia.
      Il successivo articolo 46 («Requisiti di sicurezza») enuncia, al comma 1, il principio che le attrezzature di lavoro definite all'articolo 45 devono essere conformi alle relative norme legislative e regolamentari di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto, emanate ai sensi dell'articolo 95 del Trattato istitutivo della Comunità europea.
      In tale modo è stato operato il necessario raccordo tra le «direttive di prodotto» e le «direttive di utilizzo» relativamente alle attrezzature; in altri termini, i datori di lavoro che acquistano attrezzature marcate CE, rispondenti, quindi, alle norme comunitarie sulla libera circolazione, possono impiegarle essendo certi del rispetto anche delle norme di utilizzo. Ovviamente, tali attrezzature devono essere installate secondo le indicazioni fornite dal fabbricante, mantenute in efficienza eccetera.
      Il comma 2 dell'articolo 46 specifica che in mancanza di disposizioni legislative regolamentari di recepimento di tali direttive comunitarie di prodotto, tutte le attrezzature di prodotto messe a disposizione dei lavoratori devono essere conformi ai princìpi minimi di sicurezza contenuti negli allegati I e II della direttiva 89/655/CEE, e successive modificazioni, inseriti nella proposta di legge come allegato V. In tale modo i requisiti generali di sicurezza in materia (vale a dire lo standard che deve essere rispettato in materia di macchine) sono stati individuati nelle direttive comunitarie applicabili in materia e nei loro allegati. Il mancato rispetto di tali princìpi generali è sanzionato penalmente.
      Nell'ipotesi di assenza di norme legislative e regolamentari «di prodotto», si è
 

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reso necessario richiamare le norme tecniche europee, internazionali o nazionali - applicabili nei vari settori di riferimento - che devono essere rispettate nella costruzione delle attrezzature. Tale richiamo consente di modificare «automaticamente» il parametro «tecnico» di riferimento della conformità delle attrezzature al livello minimo di sicurezza richiesto dalle direttive comunitarie in relazione ai cambiamenti della tecnica dei vari settori, quali recepiti nelle citate norme tecniche, senza necessità di interventi legislativi o regolamentari.
      Pertanto, sono considerate rispondenti ai princìpi generali di sicurezza, sopra citati, e quindi a norma, le attrezzature conformi a tutte le disposizioni legislative di cui ai titoli III, IV, V e VI del decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, che vengono considerate alla stregua di «norme di buona tecnica».
      L'articolo 47 della proposta di legge, il quale individua gli obblighi del datore di lavoro, è stato formulato verificando l'attuazione delle previsioni delle direttive 89/655/CEE e 2001/45/CE - ai sensi delle previsioni dell'articolo 35 del decreto legislativo n. 626 del 1994 - considerata tenendo conto della successione delle previsioni contenute nelle citate direttive. Si è, in tale modo, operata un'operazione di chiarificazione della normativa di recepimento, resa più aderente alla struttura delle direttive citate, anche per il tramite di modifiche, anche di sostanza, alle previsioni di trasposizione contenute nel citato articolo 35 del decreto legislativo n. 626 del 1994.
      La disposizione della proposta di legge sugli obblighi del datore di lavoro per l'uso di attrezzature nei lavori temporanei in quota (articolo 48, recante «Obblighi del datore di lavoro per l'uso di attrezzature nei lavori temporanei in quota») riproduce una parte dell'allegato II della direttiva 89/655/CEE (quella individuativa di obblighi comportamentali per il datore di lavoro), mentre il successivo articolo 49 della proposta di legge («Informazione e formazione») riproduce l'articolo 6 della medesima direttiva 89/655/CEE.
      Il capo II del titolo III, rubricato «Ponteggi metallici fissi» ripropone gli articoli da 30 a 34 e 37 del decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 1956. Rispetto al testo degli articoli citati, il capo si differenzia unicamente in quanto si è ritenuto (per rendere maggiormente spedito il procedimento di rilascio dell'autorizzazione all'impiego di ciascun tipo di ponteggio metallico) di non riportare le norme contenute nel terzo comma dell'articolo 30 del citato decreto del Presidente della Repubblica e di sottoporre l'autorizzazione all'impiego dei ponteggi in oggetto ad un termine decennale di rinnovo, necessario al fine di verificare l'adeguatezza dei ponteggi alla evoluzione del progresso tecnico.
      Il titolo IV disciplina gli impianti e le apparecchiature elettrici. Nel rispetto degli obiettivi di semplificazione e di razionalizzazione perseguiti dalla riforma, la precedente normativa (contenuta nel titolo VII, articoli 267-350, del decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, e nell'articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 1956) è stata modificata imponendo innanzitutto il principio generale (sancito dal comma 1 dell'articolo 56 della proposta di legge) che «Tutti i materiali, le apparecchiature e gli impianti elettrici devono essere costruiti, installati e mantenuti in modo da prevenire i rischi che possono derivare dal loro uso, anche in condizioni di funzionamento anomalo».
      Così come già per le attrezzature di lavoro, anche per gli impianti elettrici si è fatto ricorso alle norme di buona tecnica (comma 2 dell'articolo 56) e alle buone prassi (comma 3 dell'articolo 56) per individuare le regole alle quali è necessario conformarsi ai fini del rispetto del principio generale appena citato, mentre l'articolo 57 della proposta di legge impone specificamente al datore di lavoro di mettere a disposizione dei lavoratori materiali, apparecchiature e impianti elettrici nonché di adottare procedure di uso e di manutenzione rispettose dei requisiti di sicurezza, quali individuati nell'articolo 56.
 

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      Si è reputato necessario ribadire esplicitamente che i lavori sotto tensione sono vietati (come già statuito dall'articolo 344 del decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955), salvo che non vengano adottate le procedure individuate all'articolo 58 della proposta di legge, e che i lavori in prossimità di linee elettriche nude necessitano dell'adozione delle misure di sicurezza di cui all'articolo 59 della medesima proposta di legge (messa fuori tensione e in sicurezza delle parti attive per tutta la durata dei lavori, rispetto delle distanze, applicazione di ostacoli rigidi che evitino l'avvicinamento alle parti attive).
      Inoltre, sono stati posti a carico del datore di lavoro gli obblighi di protezione di edifici, impianti, strutture e attrezzature (articolo 60 della proposta di legge) dagli effetti dei fulmini e di verifica degli impianti secondo le modalità previste dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 ottobre 2001, n. 462 (articolo 61).
      Il titolo V (articoli 62-65) della proposta di legge, rubricato «Uso dei dispositivi di protezione individuale» recepisce la direttiva 89/686/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989 (e le modifiche ad essa effettuate con le direttive 93/68/CEE del Consiglio, del 22 luglio 1993, e 93/95/CEE del Consiglio, del 29 ottobre 1993), attraverso la rivisitazione della disciplina sui dispositivi di protezione individuale contenuta nel titolo IV del decreto legislativo n. 626 del 1994, ma anche nei decreti del Presidente della Repubblica n. 164 del 1956, n. 303 del 1956, n. 547 del 1955 e n. 277 del 1991.
      Così i primi due articoli del titolo V in oggetto (articolo 62, recante «Definizioni», e articolo 63, recante «Disposizione generale») corrispondono testualmente agli articoli 40 e 41 del decreto legislativo n. 626 del 1994, mentre si è ritenuto di modificare l'articolo relativo agli obblighi del datore di lavoro (articolo 64 della proposta di legge, già 43 del decreto legislativo n. 626 del 1994), nel quale si rinvengono le disposizioni attualmente contenute all'articolo 42 del decreto legislativo n. 626 del 1994, in quanto anch'esse dirette ad individuare obblighi in capo al datore di lavoro.
      Si è ritenuto di non predisporre un articolo specificamente dedicato agli obblighi dei lavoratori, presente nella vigente normativa (articolo 44 del decreto legislativo n. 626 del 1994), in quanto sarebbe stato ripetitivo degli obblighi - sanzionati penalmente - già imposti ai lavoratori in linea generale dall'articolo 9 della proposta di legge nonché delle previsioni di cui all'articolo 64 (dirette al datore di lavoro) e, comunque, in quanto la direttiva 89/686/CEE nulla prevede al riguardo.
      L'articolo 65 della proposta di legge esprime il principio in forza del quale la scelta e l'uso dei dispositivi di protezione individuale devono essere effettuati tenendo conto dei criteri di cui alla proposta di legge (in questo caso, individuati nell'allegato IX) e delle norme di buona tecnica emanate in materia. In tal modo, anche con riferimento ai dispositivi di protezione individuale, si obbliga il datore di lavoro ad adottare tutte le misure più aggiornate per porre i propri lavoratori nelle condizioni più sicure di lavoro possibili in quel momento storico e, al contempo, lo si libera di responsabilità in caso di infortunio ove abbia ottemperato a tale obbligo.
      Nel titolo VI della proposta di legge sono state trascritte le disposizioni riguardanti la segnaletica di sicurezza contenute nel decreto legislativo n. 493 del 1996, attuativo della direttiva 92/58/CEE, concernente le prescrizioni minime per la segnaletica di sicurezza e/o di salute sul luogo di lavoro (nona direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE), rispetto alle quali è stata effettuata una operazione di semplificazione tenendo conto delle previsioni della direttiva di riferimento e rinviando al relativo allegato (allegato X) per individuare i requisiti della segnaletica.
      Il titolo VII della proposta di legge (articoli 70, 71 e 72) concerne la movimentazione manuale dei carichi, precedentemente disciplinata dal titolo V, articoli 47, 48 e 49, del decreto legislativo n. 626 del 1994, che riproduce le disposizioni
 

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della direttiva 90/269/CEE del Consiglio, del 29 maggio 1990 (quarta direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE).
      L'articolo 70 della proposta di legge corrisponde testualmente all'articolo 47 del decreto legislativo n. 626 del 1994, mentre il successivo articolo 71 è stato modificato rispetto al corrispondente articolo 48 del decreto legislativo n. 626 del 1994, sia attraverso l'accorpamento delle previsioni di cui ai commi 3 e 4 del citato articolo 48 al comma 2 dell'articolo 71, sia mediante l'introduzione, necessaria nella innovativa logica della proposta di legge, del rinvio alle norme di buona tecnica (articolo 71, comma 3).
      Il titolo si chiude con l'articolo 72, corrispondente all'articolo 49 del decreto legislativo n. 626 del 1994, dal quale si differenzia per alcune modifiche stilistiche e per il rinvio all'allegato XI.
      Il titolo VIII è dedicato alla disciplina dell'uso di attrezzature munite di videoterminali. Tramite esso viene recepita la direttiva 90/270/CEE del Consiglio, del 29 maggio 1990, relativa alle prescrizioni minime in materia di sicurezza e di salute per le attività lavorative svolte su attrezzature munite di videoterminali (quinta direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE) già trasposta nel nostro ordinamento dal titolo VI (articoli da 50 a 59) del decreto legislativo n. 626 del 1994.
      Rispetto alla disciplina appena citata, il titolo VIII si differenzia innanzitutto per l'introduzione di un articolo (articolo 75) dedicato ai requisiti di sicurezza e salute, il quale ribadisce anche in materia di videoterminali il principio che i posti di lavoro devono avere i requisiti minimi individuati nell'allegato XII, nonché sulla base delle norme di buona tecnica e delle buone prassi, tra le quali vengono espressamente fatte rientrare le linee guida d'uso dei videoterminali, di cui al decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 2 ottobre 2000, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 244 del 18 ottobre 2000.
      Inoltre, sempre rispetto al corpus normativo vigente in materia e in osservanza delle disposizioni comunitarie, sono state operate semplificazioni e modifiche anche in materia di organizzazione del lavoro, sorveglianza sanitaria, informazione e formazione, mentre si è ritenuto di non riproporre nella presente proposta di legge una specifica previsione (articolo 57 del decreto legislativo n. 626 del 1994) relativa alla consultazione e partecipazione in ordine alle disposizioni del titolo sui videoterminali, in quanto ripetitiva delle previsioni di cui al titolo I della proposta di legge.
      Nel titolo IX («Protezione da agenti chimici pericolosi») sono state accorpate le disposizioni sulla protezione da agenti chimici (titolo VII-bis del decreto legislativo n. 626 del 1994) e le disposizioni sulla protezione da agenti cancerogeni e mutageni (titolo VII del decreto legislativo n. 626 del 1994), prevedendo, nell'ambito dello stesso titolo IX, disposizioni specifiche per gli agenti cancerogeni e mutageni.
      Pertanto, il capo I («Disposizioni generali per gli agenti chimici») ha accorpato le disposizioni contenute nel titolo VII («Protezione da agenti cancerogeni e mutageni») e nel titolo VII-bis («Protezione da agenti chimici») del decreto legislativo n. 626 del 1994, e successive modificazioni [il titolo VII del decreto legislativo n. 626 del 1994 è stato modificato dal decreto legislativo n. 66 del 2000, attuativo della direttiva 90/394/CEE sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un'esposizione ad agenti cancerogeni durante il lavoro (sesta direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE) e successive direttive di modifica (direttive 97/42/CE e 1999/38/CE; questa ultima estendeva la materia anche agli agenti mutageni). Le disposizioni di cui al titolo VII-bis del decreto legislativo n. 626 del 1994 sono state introdotte dal decreto legislativo n. 25 del 2002, attuativo della direttiva 98/24/CE sulla protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori contro i rischi derivanti da agenti chimici durante il lavoro (quattordicesima direttiva particolare ai
 

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sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE). Si consideri, inoltre, che le previsioni contenute nella direttiva 2000/39/CE della Commissione, dell'8 giugno 2000, relativa alla messa a punto di un primo elenco di valori limite indicativi in applicazione della direttiva 98/24/CE sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti dall'esportazione ad agenti chimici sul luogo di lavoro, sono state inserite nella presente proposta di legge facendo parte integrante dell'allegato XIII], considerando anche le disposizioni contenute nel decreto del Presidente della Repubblica n. 303 del 1956, e, in particolare, quelle previste dagli articoli 18, 19, 20 e 41.
      Il capo II raccoglie le disposizioni contenute nel titolo VIII-bis (articoli da 88-bis a 88-undecies) del decreto legislativo n. 626 del 1994, introdotto dal decreto legislativo n. 233 del 2003, attuativo della direttiva 1999/92/CE relativa alle prescrizioni minime per il miglioramento della tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori che possono essere esposti al rischio di atmosfere esplosive (quindicesima direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE).
      Infine, il capo III del titolo IX detta la disciplina attuativa della cosiddetta «direttiva amianto», direttiva 83/477/CEE, recepita con il decreto legislativo n. 277 del 1991. Tale operazione si è resa opportuna al fine di predisporre una disciplina unitaria di tale delicata materia evitando ogni possibile disomogeneità, frequente in ipotesi di interventi legislativi che si succedono a distanza di anni l'uno dall'altro.
      Il titolo X della proposta di legge riguarda la protezione dei lavoratori dal rischio di esposizione agli agenti biologici durante il lavoro, costituendo attuazione della direttiva 2000/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2000. Quest'ultima aveva abrogato la direttiva 93/88/CEE, a sua volta modificativa della direttiva 90/679/CEE (settima direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE), la quale è stata attuata dal titolo VIII (articoli da 73 a 88) e dagli allegati IX, X, XI e XII del decreto legislativo n. 626 del 1994.
      Nel titolo XI («Agenti fisici») è stata, al capo II, data attuazione alla direttiva 2003/10/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 febbraio 2003, relativa all'esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti da rumore. Sempre nello stesso titolo, al capo III, è stata recepita la direttiva 2002/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 giugno 2002, relativa all'esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dalle vibrazioni.
      Nel titolo XII («Cantieri temporanei e mobili») sono state collocate le norme del decreto legislativo n. 494 del 1996, attuativo della direttiva 92/57/CEE concernente le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili (ottava direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE).
      Sempre nel titolo XII sono state riprodotte alcune norme del regolamento sui contenuti minimi dei piani di sicurezza nei cantieri temporanei o mobili, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 222 del 2003. Per la sua natura regolamentare, tale provvedimento è stato connotato con la clausola di cedevolezza nei confronti dell'intervento regolatorio ad opera delle regioni. Al riguardo, non si è ritenuto di ridurre tale regolamento al rango di «buone prassi», come in altri casi è stato fatto nella proposta di legge, in quanto il provvedimento in parola è costituito da contenuti minimi di natura generale e astratta ritenuti da tutti gli operatori del settore un importante riferimento tecnico e, pertanto, non sostituibile con «buone prassi».
      Il titolo XIII contiene l'apparato sanzionatorio della presente proposta di legge, definito sul modello del titolo IX del decreto legislativo n. 626 del 1994, dal quale si differenzia innanzitutto per la considerazione dei lavoratori e dei componenti dell'impresa familiare tra i destinatari delle sanzioni.
      Inoltre, come imposto dalla riformulazione della normativa operata nella proposta
 

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di legge e per rendere più agevole la lettura delle rispettive disposizioni sanzionatorie, si è ritenuto di individuare specificamente le sanzioni a carico, rispettivamente, dei datori di lavoro committenti, degli appaltatori, dei datori di lavoro distaccanti e di quelli distaccatari, dei responsabili dei lavori e dei coordinatori.
      Infine, a differenza dell'opzione operata nel 1994, si è scelto di dedicare un articolo agli obblighi dei progettisti, uno a quello di fabbricanti e fornitori e uno a quelli degli installatori.
      Il titolo XIII, nella parte dedicata alle disposizioni finali, contiene l'elenco delle abrogazioni e l'indicazione delle disposizioni previgenti considerate norme di buona tecnica o di buone prassi, fermo restando il principio che, alla data di entrata in vigore della legge, risulteranno comunque abrogate le norme incompatibili con le disposizioni in essa contenute. Inoltre, il medesimo titolo individua la data di entrata in vigore della legge nel giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e contiene un articolo, il 193, il quale esonera gli imprenditori edili - in virtù dell'acclarata pericolosità delle lavorazioni che ivi si svolgono - dall'obbligo di assunzione dei lavoratori diversamente abili di cui all'articolo 4, comma 1, della legge del n. 68 del 1999, limitatamente al personale destinato a operare in cantiere o addetto ai trasporti. Infine, l'articolo 194 evidenzia come dall'attuazione della legge non possono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, in ossequio al principio di invarianza della spesa pubblica.
 

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